Leggo sul Il Sole 24 Ore di ieri, nell’inserto Centro Nord, un articolo di Andrea Biondi intitolato “Rimini riaccende la polemica sulla ‘vera’ piadina. Lite in Romagna sulla richiesta dell’Igp”.
Chiedere a me, riminese per metà dei miei anni, quale sia la preferita, è come chiedere ad una mamma quale dei due figli ami di più.
Sono nata e cresciuta con la pìda cesenate; svezzata, se così si può dire, con la pièda riminese. Mi piacciono tutte e due. La prima è come il ritorno a casa, alle origini. La seconda mi rammenta che “a metà del cammin…” (nel 1983), col matrimonio e il trasferimento a Viserba ho passato il Rubicone (letteralmente: la mia vecchia casa di Gatteo a Mare sorge a qualche centinaio di metri a nord dello storico fiume).
La diatriba fra pièda e pìda non è nuova e coinvolge riminesi e cesenati/forlivesi: qual è la piadina vera ed originale?
Già il nome non è univoco, appunto. Lo ricordava venerdì scorso, a Castel Sismondo, anche lo scrittore Piero Meldini nell’incontro organizzato dalla Fondazione Carim dal titolo “La piada nei secoli: storia di un cibo povero che ha fatto fortuna”. La nostra versione di pane azzimo prende nomi diversi a seconda del territorio: nella Romagna del sud (Rimini e dintorni) si chiama piada o piadina; più a nord, nel cesenate, prende il nome di pìda (ricordate la canzone “La pìda se parsòt, la pìs un pò ma tòt”?); a Forlì e Ravenna è la pié… La pièda riminese è più larga e sottile (si piega ma non si spezza); la pìda è un po’ più alta di spessore e di superficie più piccola (non si piega, per farcirla si può anche dividere il quadretto in senso trasversale).
Pure negli ingredienti c’è qualche differenza.
Farina, acqua e sale rimangono la base. Per il condimento, la versione storica vorrebbe lo strutto di maiale, sostituibile o integrabile con buon olio extravergine di oliva. Come per quasi tutte le ricette tipiche, poi, anche per la piada si cambia di casa in casa. La mamma e le mie sorelle, arzdore della zona di Cesenatico, mi hanno insegnato ad aggiungere allo strutto un po’ di latte e un pizzico di bicarbonato (o “dose da ciambella”). Mia suocera, riminese doc, usa di preferenza l’olio extravergine e non mette mai il bicarbonato. Il sale va sciolto nel pentolino dell’acqua (che va solo riscaldata, non bollita!). In ogni caso l’impasto va lasciato riposare un po’, anche solo mezz’ora, prima di procedere al lavoro di matterello. La fase della cottura – indizio importante per chi non è romagnolo e non lo ha mai visto fare in diretta – richiede una teglia (o testo) di terracotta o di ghisa posta su fuoco vivace (va bene anche una piastra di ferro pesante). Perché la piada deve cuocere in fretta, qualche minuto per parte, e vuol’essere rigirata e punzecchiata di tanto in tanto con una forchetta o un coltello a lama piatta.
Per chi volesse approfondire, su wikipedia, alla voce piadina, c’è una descrizione piuttosto completa.
Qui, invece, si può leggere un trattato di Piero Meldini, dal libro di Graziano Pozzetto “La piadina romagnola tradizionale” (Panozzo editore 2005)
Buona lettura e… buon appetito!