La racconto come me l’hanno venduta: la bella villa abbandonata che vedo dalla finestra, immersa nel parco che dà respiro alle mie estati, nasconde un tesoro misterioso. Un mio concittadino ottantacinquenne (una delle ultime memorie storiche di Viserba) l’altra sera, sapendo della mia curiosità, mi ha detto: “Sa, signora, quella villa accanto a casa sua? Mio nonno partecipò alla sua costruzione. Quand’ero bambino mi raccontava che i proprietari avevano nascosto ‘una cosa molto preziosa’ in uno degli angoli della fondamenta. Non si è mai saputo in cosa consistesse questo tesoro, se denaro, documenti o quant’altro, e neppure in quale dei quattro angoli…”
Nel sito del Comitato Turistico di Viserba c’è una foto della villa risalente al 1910, quand’era stata appena costruita (a questo link).
Ogni volta che mi affaccio al balcone immagino la contessa Gemmamaria che passeggia nei vialetti, lì sotto. L’ombrellino di pizzo la ripara dall’abbronzatura, a quei tempi riservata alle contadine. Il cagnolino saltella vicino a lei e gioca con la balza della lunga gonna… E il tesoro? Gioielli? Perle? Carte preziose?
Chissà…
“Villa Ombrosa”, anche il nome contribuisce ad aggiungere mistero al mistero.
Un grande parco di alberi secolari e una storia travagliata. Fatta costruire all’inizio del secolo scorso dalla Contessa Carini (nome rimasto nelle mappe), originariamente si chiamava Villa Gemmamaria. Prima della seconda guerra passò di proprietà varie volte: prima a Gattegno e poi a Giuseppe Cameo, al quale venne tolta nel 1944 a seguito delle confische operate nei confronti degli appartenenti alla razza ebraica. Nel 1954 venne acquistata da don Pietro Lodolini, che vi abitò fino alla sua morte avvenuta una decina d’anni fa. Poi si sa di altri due-tre passaggi di proprietà, l’ultimo dei quali pare finalizzato ad un importante intervento edificatorio che dovrebbe interessare i terreni a monte, compresi fra la villa e la via Sozzi.
Negli anni ’60-’70 don Lodolini aveva trasformato la villa padronale in albergo per la gioventù, ricavando piccole stanzette e di fatto alterando l’interno della struttura originale. In un’altra palazzina di epoca più recente, sempre all’interno del parco, don Pietro ospitò a lungo gruppi di ragazzi senegalesi (i primi che approdarono a Rimini). Situazione che innescò non poche polemiche nel quartiere e che si risolse con lo sgombero forzato, quando, diversi anni dopo la morte del prete, i nuovi proprietari vollero prendere effettivo possesso della villa.
Da allora nessuno ci ha ancora abitato… Assomiglia ad un regno di fantasmi. Solo qualche lavoretto ogni tanto, come la sistemata al parco, con l’abbattimento delle piante più alte e malate ormai giunte a rischio di crollo.
Dall’esterno, sbirciando fra le inferriate del grande cancello, si nota che la costruzione perde i pezzi a ritmi scanditi dal tempo che passa. Osservando l’imposta che sbatte e la vetrata d’epoca rotta in più punti, i vecchi viserbesi ricordano il parco aperto al pubblico, i bambini giocare fra vialetti e panchine mentre le famiglie andavano alla messa nella cappella ricavata dall’autorimessa della contessa (anche questa ormai ridotta ad un mucchio di macerie).
E pensare che una struttura simile sarebbe un fiore all’occhiello per un quartiere come quello di Viserba, che si vanta di essere il più popoloso della città. Potrebbe essere un punto d’incontro per anziani o ragazzi oppure un centro culturale con biblioteca e sale mostre. Qualcosa di utile alla collettività. Posti come questo sono ormai rari ed è un vero peccato che rimangano inutilizzati e trascurati fino al degrado.
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Io ci andavo in vacanza da piccolina, mi ricordo bene del Don Pietro.
Io andavo da piccola mi ricordo bene di Don Pietro e del suo cane Ringo…gli alberi di nocciole le altalene e le bocce ho dei ricordi bellissimi
DON PIETRO ERA UNA PERSONA SPECIALE.