Fino a quattro mesi fa quando avevo bisogno di qualche consiglio (o magari soltanto di una piccola consolazione), facevo un numero di telefono di Gatteo a Mare. E’ il luogo dove sono cresciuta, venti chilometri a nord da qui, appena al di là dello storico fiume Rubicone (il grande passaggio, in senso contrario a quanto fatto da Cesare, io l’ho vissuto nel 1983, col matrimonio).
Immancabilmente, a quel numero rispondeva la dolce voce della mamma.
“T’é voja ad tètta?” (hai voglia di tetta?), scherzava, immaginando che una richiesta del tipo “voglio fare la seppia con piselli, mà, cosa devo mettere giù prima, la seppia o i piselli?”, in realtà significasse “mamma, oggi sono un po’ in crisi e avevo voglia di sentirti”.
Ora quel telefono suona a vuoto.
Per fortuna, però, non sono figlia unica e la mamma ha lasciato in eredità i suoi tanti saperi alle mie due sorelle e a mio fratello, oltre che a me.
Teresa è la maggiore, ci separano dodici anni. Quand’ero bambina è stata una vice-mamma. Ora è il telefono di Teresa a squillare più spesso. Tutti la chiamiamo, quasi quotidianamente, per sapere… come si cucina la seppia con i piselli.
L’ultima volta che sono andata a trovarla mi ha regalato un barattolo di delizie: i fichi sciroppati come li faceva la mamma.
Ecco la ricetta, giusta per il mese che inizia oggi.
“Cogli l’attimo fuggente – direbbe qualcuno – E, per non perderne il sapore, conservane un po’ per i mesi più freddi”.
Magari si potesse fare così con tutte le cose buone (e belle)!
Fichi sciroppati di Teresa
Ingredienti
4 chili di fichi “tosti”, appena colti, col loro picciolo
1 chilo di zucchero
la buccia di un limone
Preparazione
In un pentolone antiaderente (vanno bene quelli di acciaio col fondo grosso) si mettono quattro chili di fichi interi col loro picciolo, precedentemente lavati e scolati, un chilo di zucchero e la buccia di un limone (la parte gialla) tagliata a striscioline o dadini.
Si lascia sul fuoco finché lo zucchero si è trasformato in sciroppo e i fichi cambiano colore e diventano marroncini.
Si mettono ancora caldi nei barattoli di vetro puliti, si chiudono e si lasciano raffreddare lentamente (anche due giorni) avvolti in panni o coperte.
Si mangiano anche dopo mesi.
A me piacciono insieme ai formaggi o sopra le cantarelle.
Buoni anche sulla piada calda, magari distesi sopra ad un leggero strato di stracchino fresco.
Io ho già l’acquolina in bocca? E voi?
Passo la ricetta alla zia,vivandiera di casa. Le eredità gastronomiche sono le migliori per conservare ricordi e affetti. ;-)***
Evvai! Anche la zia della Principessa è delle nostre (Dama di Corte? Duchessa?. La rete di sorellanza s’allarga, dunque.
Baci, Princy
non posso fare la sorella, a meno che non mi chiamiate Mrs Doubtfire, o Tootsie:) ma questo post qui mi ricorda tanto la mia famiglia la nonna le zie il profumo della campagna…….
Beh, Luca, il nostro club fa eccezioni (non sei il solo maschio che legge e commenta questo blog). Ragazze, apriamo anche ai “pochi ma buoni”, vero?
Un caro saluto al tuo bel Mar Ligure… dal bell’Adriatico.
La ricetta è stupenda e la userò sicuramente, ma il racconto dell’assistenza “sororale” è ancora più dolce.
ciaomarina
Benvenuta a casa mia, Marina.
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