Il mese di gennaio, con le sue giornate dal clima rigido favorevoli alla conservazione delle carni, era considerato il tempo ideale per la macellazione casalinga del maiale.
Nel mio ricordo di bambina di campagna la “festa del maiale” evoca alcune sbiadite immagini visive e olfattive: enormi cortili pieni di gente indaffarata attorno alla carcassa della bestia che emana nuvole di vapori. Ma il ricordo più immediato, che dopo più di quarant’anni torna alla mente spaventando ancora i miei sogni, è quello degli orribili strilli del “sacrificato” che riempivano l’aria.
Scrive Vittorio Tonelli nel suo libro “La festa del maiale grasso in Romagna”, Edit Faenza 1998:
“Il norcino chiede aiutanti muscolosi mentre si avvicina al porcile. Ordina di tirare fuori quel poveraccio, che non sembra proprio gradire, grugnendo disperatamente, quando viene agguantato per le orecchie e sollevato posteriormente attraverso la coda, una sorta di timone orientatore. Se il soggetto è agile, nonostante il peso, viene fatto stancare con una sgambata intorno a casa; poi è spinto sul luogo dell’esecuzione, solitamente nella loggia di casa, ove la trave centrale può dare un sicuro ancoraggio alla corda robusta su cui appendere, con la testa all’ingìù, il sacrificato, reso inoffensivo da un cappio fra i dentoni della mandibola superiore e il naso. Le grida sono un annuncio di morte, di vita, per la famiglia e i vicini in ascolto con l’immancabile plauso di quell’evento fortunato. Solo la donna che ha portato la broda sino all’ultimo a quel povero condannato e in qualche modo gli si è affezionata, si nasconde nella stanza più lontana, sapendo che il coltello farà aumentare i lamenti lancinanti della disperazione. Pure i bambini più piccoli non sono presenti: vengono tenuti lontani, o lasciati dormire oltre il consueto, allo scopo di salvaguardare la loro serenità e persino la loro incolumità fra il via vai dei paioli d’acqua bollente e la possibile travolgente fuga del suino. Tale consuetudine nascondeva anche una preoccupazione meno nobile, quella superstiziosa che la presenza di una creatura innocente impaurita avesse a fermare, come si diceva, la normale fuoriuscita del sangue.”
Erano comunque giorni di festa.
Ne “Il villano smascherato”, manoscritto datato Rimini 24 novembre 1694, allegato alla “Pratica Agraria” di Battarra troviamo scritto: “Sono i villani osservatori delle loro antiche usanze, tra le quali sono le nozze del porco, dove intervengono tutti i parenti, e almeno i più congiunti. Le celebrano con la maggior lautezza che dalla loro povertà li venghi permesso, ed alle volte in simile occasione si mangiano più della metà del porco, mentre a simil cibo sono più che ad ogn’altro ingordi.”
In questo periodo qui in Romagna ci sono diverse sagre di paese dedicate alla “smettitura” del maiale. Prima fra tutte la Fira de Bagoin di Verucchio. Spero che i bambini vengano risparmiati dagli strilli e che si passi direttamente a far vedere come si preparano ciccioli, strutto, salami, cotechini e prosciutti. Per quanto riguarda me, ho prenotato insieme ad un gruppo di parenti e amici un tavolone all’Osteria Gianola di Bellaria-Igea Marina: venerdì prossimo ci sarà la “festa del maiale”, comprendente pure intrattenimenti “a tema”.
Non vedo l’ora! Vado per la prima volta, ma gli altri sono abbonati da diversi anni. Dicono che non rimarrò delusa.
Forse fate in tempo a prenotare pure voi. Magari, poi, vi racconterò.
era tempo di guerra e mio nonno nascondeva il maiale in un posto sicuro…lontano da tedeschi alpini partigiani e camice nere… mia mamma era una bambina portava il mangiare alla bestia…perchè era piccola e non avrebbe dato nell’occhio…… ed infatti quando il maiale è stato ucciso lei non ha più mangiato salumi per tantissimo tempo…
Se penso alle urla, non lo mangio più. Allora non ci penso. ;-)***