Come ogni sabato pomeriggio chiamo mia sorella Teresa, a Gatteo a Mare, per avvisarla che sto partendo da Viserba per andarla a trovare. Oggi è arrivata al telefono un po’ trafelata.
“Non ti ho risposto subito – ha detto – perché sono impegnata in cucina. Sto facendo la ciambella per domani mattina.”
Appena arrivata a casa sua, mi ha accolto il profumo inconfondibile proveniente dal forno e una bella stesa di ciambelle, già pronte, decorate con le codette colorate. In un cestino lì accanto, avvolte in un tovagliolino ricamato, alcune uova sode già benedette in chiesa.
Ciambella e uova benedette: gli ingredienti della tradizionale colazione nel mattino del giorno di Pasqua. Domani, grazie alla disponibilità di Teresa, anch’io ripeterò questo rito del tutto romagnolo.
Per chi volesse approfondire l’argomento, ecco qui di seguito quanto scrive Michele Marziani, giornalista e scrittore esperto in gastronomia del territorio, nel libro “La cucina riminese tra terra e mare” (Panozzo Editore Rimini, 2005).
Buon appetito e… buona Pasqua da Cristella
Scrive Marziani:
Si fa un gran ricordare i dolci antichi, dimenticati, popolari, dai nomi strani, nel disquisire di tradizioni romagnole. Ma poi alla fine, il simbolo della festa del passato, anche di quello recente, era uno solo: la ciambella. Sì, l’umile ciambella, il dolce che spesso snobbiamo con un po’ si sufficienza. Eppure fino agli anni Sessanta era un rito, il trito di Pasqua. Aprivano i forni, a Rimini come nelle campagne, per permettere alle azdore di andare a cuocere la propria ciambella. E già questo era una festa, un’occasione importante, C’era chi preparava a casa l’impasto, ma c’erano anche i fornai che mettevano a disposizione gli spazi nelle loro botteghe per poter confezionare la ciambella per Pasqua. Spazio, ma anche ingredienti e buoni consigli per le spose più giovani e meno esperte. Ed era, per chi poteva permetterselo, una corsa alla ciambella “ricca”, delle feste, impreziosita dalla “codetta” multicolore. Per gli altri un dolce normale, ma simbolo di festa, perché di dolci se ne mangiavano davvero pochi e in rarissime occasioni. La Pasqua era l’occasione per antonomasia, giorno di festa in cui il pasto rituale più importante non era il pranzo, ma la prima colazione. Per una volta niente pane e caffelatte, ma una colazione ricca, tradizionale, propiziatoria, carica di significato. La purezza del giorno della Resurrezione simboleggiata dalla tovaglia bianca, candida, pulita, fresca di bucato. E sopra, per tutta la famiglia riunita, la ciambella, i biscotti (fatti con la stessa pasta della ciambella avanzata durante la preparazione), le uova sode colorate e portate in chiesa a benedire il giovedì santo, il sale per condire le uova e il vino bianco, rigorosamente dolce. Tradizione, questa, che nei racconti degli anziani assume a volte connotazioni esilaranti, se viste con gli occhi di oggi: chi non trovava il vino dolce procedeva a miscugli e aggiunte di zucchero degni del più sofisticato alchimista. A uova, ciambella e vino si univa, ma non dappertutto, il salame. Il primo morbido e gustoso salame dell’anno, finalmente pronto dopo la “smettitura” del maiale avvenuta tra dicembre e gennaio.
L’area riminese è terra di confine e viene investita da sempre delle tradizioni del Montefeltro e delle vicine Marche. E’ facile quindi che, a seconda delle zone – e vi sia ancora dove è viva la tradizione della colazione pasquale – qualche variazione sul tema. In particolare per quanto riguarda la ciambella che viene sostituita in alcune zone dalla pagnotta pasquale (ghiotta e famosa quella di Pennabilli, ma è dolce ben diffuso anche a Cattolica) e, nelle aree di maggior influenza marchigiana, dalla crescia di Pasqua che sicuramente meglio si sposa con il salame. La crescia infatti non è dolce: è una focaccia a base di formaggio, ricca, profumata e gustosa.
Con crescia, ciambella o pagnotta la colazione pasquale è comunque una solennità gastronomica da provare ancora oggi.
Pasqua
Ho visto il Signore sulla croce
ho provato la morte nel mio cuore.
Ho visto la sua fine così atroce
e il viso di Maria sfigurato dal dolore.
Ho visto il cielo in fiamme sul morente
squarciarsi come vesti , lampi e tuoni.
E tanti sguardi vuoti , di gente indifferente
attorno al monte sono pochi i buoni.
Ho visto finire il sogno di una intera vita
e un altro ancora incominciare.
E quando ormai sembrava già finita
è l’anima che comincia a respirare.
Ho visto il corpo morire sulla croce
ho visto lo spirito libero e vivente.
E ho capito che da quella morte atroce
la vita vince , certezza di un credente.
Andrea Neri
Questa è la mia Pasqua !
Auguri a tutti!!!!
Andrea: grazie per la bella e sentita poesia! La “giro” ai lettori come augurio vero. Un abbraccio a te a alla tua bella famiglia.
le tradizioni bisogna tenerle vive, specie quelle alimentari, perché hanno sempre un riscontro che si rifà alla fede, al corpo e al sangue.
E detto da me è già un bello sforzo d’obiettività.
Alex
uhhhhh, che fame! ;-)***