Finalmente ce l’ho fatta!
E’ più di un mese che giro attorno ai brazadél d’l’impajèda, ricetta della tradizione romagnola rammentatami dalla Pierina d’e’ Zàqual, la suocera 98enne di mia sorella Teresa. La nonna, sapendo del mio interesse per la cucina del passato, un giorno mi disse: “Parché t’an fé i brazadél d’l’impajèda?” (perché non fai i bracciatelli dell’impagliata?)”
“Ma come si fanno, nonna?”
“Sa saràl mai! T’fé di biscòt tònd s’e’ bus t’e’ mèz…” (cosa sarà mai! Fai dei biscotti tondi col buco nel mezzo…).
Beh, facile per lei.
Mi sono fatta spiegare per bene la ricetta e a casa ho provato. Siccome lei abita a Gatteo a Mare e io a Viserba e vado a trovarla una volta a settimana, per poterle far vedere il mio lavoro ho documentato con la fotocamera.
“No, no! Così non va – mi ha detto la prima volta – Buco troppo largo, biscotto troppo secco.”
Insistere, mai arrendersi. Alla seconda prova, il risultato è sembrato migliore già all’assaggio, anche senza l’approvazione della nonna. Ma il diavolo ci ha messo la zampino: la maestra di cucina romagnola è stata ricoverata d’urgenza per problemi al cuore, vecchio e stanco. Già pensavo di aver perso per sempre la possibilità di recuperare questa ricetta dalla fonte migliore (la memoria vivente delle vere arzdore), quando la situazione è migliorata e la nonna è tornata a casa, piuttosto pimpante e attenta come prima.
Ecco: subito, alla prima visita, arrivo io con le nuove fotografie.
“Ai sém! Stavolta i va bén!” (ci siamo, questa volta vanno bene!). Evviva! (in tutti i sensi…).
Allora, prima della ricetta, qualche riga sul perché questi biscotti si chiamano così.
Brazadèl o bracciatello: Quondamatteo scrive che “bracciatella” è voce del XIII secolo e il dolce è documentato, come bracidellus, in una glossa latina medievale del X secolo. Secondo la rivista di studi romagnoli “La Piè” deriverebbe dal fatto che veniva spontaneo, ai primitivi venditori, usare il braccio per tenerveli comodamente e in mostra. Era tradizione – lo dicono i libri, ma lo conferma la nonna – preparare questi biscotti a casa e portarli dal fornaio del paese per la cottura (quando il forno veniva spento, dopo il lavoro notturno del pane, e rimaneva la temperatura giusta per ciambelle e biscotti). Si preparavano per le cresime e per i battesimi, ma, specialmente, quando si andava a far visita a una donna che aveva partorito da poco. In quest’ultimo caso era la mamma della puerpera, che preparava un bel panìr ad brazadél (un paniere di bracciatelli) per farne dono alla figlia, che solitamente non viveva con lei. Ed è per questo che il loro nome è legata all’impagliata, così come viene definita in molte regioni d’Italia la neo-mamma.
Ecco cosa scrive il solito Gianni Quondamatteo sul termine impajèda: la puerpera è l’impajèda. Nelle “Relazioni dei parroci del dipartimento del Rubicone, al podestà di Forlì” (1811), c’è l’espressione a j’ò la moi int’la paja (ho la moglie nella paglia), che il marito pronunciava quando la moglie aveva partorito. Mentre a j’ò la moi in s’l’aròla (sull’arola) era detto quando la donna avvertiva le prime doglie. Alle prime doglie la donna sedeva davanti al focolare, coi piedi sull’arola, appoggiandosi alla conocchia. Impajèda era anche il pranzo in occasione del battesimo. Andém da l’impajèda (andiamo a trovare la puerpera) e le si portava in dono una gallina per fare un buon brodo, uova fresche, zucchero, caffè, ciambella. La prima uscita della puerpera era dedicata alla chiesa per l’offerta alla Madonna di un mazzo di candele.
Ricetta dei brazadél d’l’impajèda
Ingredienti:
500 g di farina 00; 200 g di strutto; 200 g di zucchero; 4 uova; 1 bicchierino di anice; 1 bustina di lievito per dolci; la buccia grattugiata di un limone.
Preparazione:
lavorare la farina, il lievito, lo zucchero, la buccia grattugiata del limone, lo strutto e il bicchierino di anice. Impastare tutto con le uova fino ad ottenere un composto sodo, che verrà avvolto in pellicola per alimenti e fatto riposare in frigo per un’ora. Col matterello stendere l’impasto fino ad ottenere uno spessore di 3 – 4 mm. Ricavarne delle forme rotonde utilizzando una tazza da caffelatte per il bordo esterno e un bicchierino da liquore per il bordo interno. Mettere i biscotti su una teglia foderata con carta da forno e cuocere a 160° circa per 10-12 minuti (si devono appena colorire).
Ai tempi della nonna Pierina non si faceva, ma oggi, in tempi di abbondanza, i bracciatelli si possono spolverizzare con zucchero a velo.
Buon appetito!
Mmmm buoni!!!
Finalmente la tua ciambella è riuscita col buco (mi riferisco al post che ti ha fatto travagliare un po’, a proposito di “impajèda”)! Beh, spero che la maestra stia ora bene e tu mi raccomando, custodisci gelosamente tutti i suoi suggerimenti! Valgono più di un tesoro! 😉
Danda
Ps.: ma si può fare secondo te una versione sostituendo il burro allo strutto?
Sì, Danda: al posto dello strutto si può usare il burro (quantità uguale). In Romagna in passato lo strutto era molto usato, per l’abbondanza di… maiali 🙂
Grazie Cri, volevo provarli durante il weekend, ma poi con l’oscuramento temporaneo del blog non ero sicura che col burro riuscissero e mi sono buttata su un’altra ricetta ben riuscita… 🙂
Ma li proverò, stanne certa!
Bentornata! Ora puoi nuovamente scatenarti! 😉
ohhh, era ora! Mi sentivo isolata dal mondo! E’ vero che c’è Face Book, ma il blog è tutta un’altra cosa. Sì, Danda, ora mi scatenerò di nuovo: durante il black out ho immagazzinato idee da blog
finalmente riesco a leggerti
e prendo in prestito anche la ricetta dei biscotti
buona giornata
mentina
ciao, Mentina! ben tornata… 🙂
Grazie!!! Proverò sicuramente e penserò a te e alla nonnina