Prima di andare a dormire, non certo per conciliare sonni sereni e tranquilli, Cristella “cogita” sul senso delle righe scritte l’altro ieri su Face Book.
Chi bazzica da quelle parti sa che da un po’ di tempo la richiesta “Cosa stai facendo?” è stata sostituita da “A cosa stai pensando?”
Risposta di Cristella: “Ma perché, signor Facebook, mi chiedi ‘a cosa stai pensando’? Intanto, mentre lo scrivo è già passato… Quindi, eventualmente, chiedimi ‘a cosa stavi pensando’. Che patacata…”
Casualmente, proprio ieri, sull’inserto Nova de Il Sole 24 Ore è stato pubblicato un articolo intitolato “La tristezza del pensiero che sfocia in creatività”, che riporta un brano tratto dal libro “Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero”di George Steiner, Garzanti Milano, 2007.
Steiner conferma l’idea che frulla(va) in testa a Cristella: pensare al senso del pensiero pensando che non si finisce mai di pensare.
“Non sappiamo effettivamente cosa sia “il pensiero”, in che cosa consista “il pensiero”. Quando tentiamo di pensare il pensiero, l’oggetto della nostra indagine è interiorizzato e disseminato nel momento stesso in cui lo facciamo. E’ sempre immediato e insieme fuori portata. Neppure nella logica o nel delirio dei sogni possiamo raggiunger un punto di vista esterno al pensiero, un punto archimedeo da cui circoscrivere o pesare la sua sostanza. Niente, nemmeno le sonde più profonde dell’epistemiologia o della neurofisiologia ci hanno condotto oltre l’identificazione parmenidea del pensiero con l’essere. Abbiamo prove che dimostrano come i processi del pensiero, dell’immaginare concettuale, persistano anche durante il sonno. Alcune modalità del pensiero resistono a qualsiasi tipo di interruzione, come accade con la respirazione. Possiamo, per breve tempo, trattenere il respiro. Non è affatto chiaro, invece, se possiamo trattenere il pensiero.”
Chiedere… che ne pensate è troppo?
Buona notte e sonni sereni 🙂