Giustiniano Villa (1842 – 1919) è noto come il “poeta ciabattino” di San Clemente, paese sulle colline alle spalle di Riccione. In tempi in cui la gente non leggeva e radio e tv non c’erano Villa girava per le piazze di paesi e città a declamare le sue zirudelle, forma poetica un tempo molto diffusa in Romagna. Ne scrisse a centinaia, stampate su foglietti che vendeva a un soldo l’uno (il prezzo era spesso indicato negli ultimi versi della composizione, diventandone la chiusura). Un giornalista ante litteram, attento al sociale e alla vita politica nazionale e internazionale. Oltre ai noti “dialoghi e contrasti fra padrone e contadino”, infatti, Villa portava alla gente poesie sociali e cronache vere e proprie.
Come quella scritta nel 1915, intitolata “Le calamità presenti”.
Il riferimento è al terribile terremoto che, alle 7.48 del 13 gennaio 1915, rase al suolo la città di Avezzano, in Abruzzo.
St’an lé l’an dla distruziun
di paeis e del persoun.
Dov la guera cla ne arriva
a fe la stragie più attiva
le arrivat un ent fastidie,
e nemigh d’S. Emidie
la ballè la padvanela
at tl’Italia i qua centrela
che at chi pòst Lou la distrutt
omne, don, paeis e tutt.
Questo è l’anno della distruzione
dei paesi e delle persone.
Dove la guerra non arriva
a far la strage più attiva
è arrivato un altro fastidio
il nemico di Sant’Emidio
ha ballato la pavanella (antico ballo romagnolo)
nell’Italia qua centrale
che in quei posti Lui ha distrutto
uomini, donne, paesi e tutto.
A Roma a n’ha tirat tent fort
per di mei nissoun e mort
e niench le casch nissoun palaz,
ma però ma chi sgniuraz
chis fa portè e caffè te let
(siccom cle ste poch dop dal set)
chi steva cheld sotta i lanzoul
ei se strett ben-ben e c…
cav garantisc proprie d’amigh
ca ni passera più e panigh!
A Roma non ha tirato tanto forte
per dir meglio nessuno è morto
e neppure è caduto alcun palazzo,
ma però a quei signorazzi
che si fan portare il caffè a letto
(siccome è stato poco dopo le sette)
che stavano caldi sotto alle lenzuola
gli si è stretto ben bene il c…
che vi garantisco proprio da amico
che non gli passerà più il panico!
Ch’ioperai chi lavoreva
ed enca quei chi camineva
iavrà avud un po’ d’spavent
li per li per che moment
ma dopp… iè avezz a tribulè
in n’ià nienca più pansè…
Ma chielt chià i bon da mill
chi scaroza e i sta tranquill
me a scmett che pou allora
là e convuls chi trema ancoura.
Quegli operai che lavoravano
e anche quelli che camminavano
avranno avuto un po’ di spavento
lì per lì per quel momento
ma dopo… sono avvezzi a tribolare
non ci hanno neanche più pensato..
Ma gli altri che hanno i buoni da mille
che vanno in carrozza e stan tranquilli
io scommetto che da allora
han le convulsioni che tremano ancora.
Tralasciamma ‘sti coment
raccontamma verament.
Dov che quest la de più fort
do chiè ste massacre e mort.
E fu in Abruzz in Avvezen
e i lè dintorne poch lonten;
ben precis me a ne savrea
ma un zinquenta, senta mela…
I paeis che ste colpid
i sarà trenta an digh per rid
dov più piccol dov più gros
ià avù tutt i sas ma dos!
Tralasciamo questi commenti
raccontiamo veramente.
Dove questo ha dato più forte
dove son stati massacri e morte.
Fu in Abruzzo in Avezzano
e lì nei dintorni poco lontano;
ben preciso io non saprei
ma un cinquanta, sessanta miglia…
I paesi che son stati colpiti
saranno trenta non dico per ridere
dove più piccoli dove più grossi
hanno avuto tutti i sassi addosso!
I mort lè ste più d’trentamilla
a ne una folla ch’digga Villa
quei ca lett tutt i giornel
i dirà se me a digh mel.
In quant i mort lassama andè
l’era un pas ch’ieva da fè
bsogna fès d’una rasoun
chiè andè un pò prima te casson…
Ma i ferid le pegg puraz…
chi a rott al gambi, al braz,
chi la schina sgraponeda
chi la testa sfracascieda,
e quel che pegg alfein di cunt
e dolor di su congiunt
chil portarà sempre in te cor
por sgrazied sina chi mor!
I morti son stati più di trentamila
non è una fola che dice Villa
quelli che hanno letto tutti i giornali
diranno se io dico male.
In quanto ai morti lasciamo andare
era un passo che avevano da fare
bisogna farsi una ragione
che sono andati un po’ prima nel cassone…
Ma i feriti è peggio, poveracci…
chi ha le gambe rotte, chi le braccia
chi la schiena sgrapponata
chi la testa sfracassata,
e quel che è peggio alla fine dei conti
il dolore dei loro congiunti
che lo porteranno sempre nel cuore
poveri disgraziati finché moriranno!
Quest al vegh che la nazioun
la spandrà parecc miglioun
per soccor burdell ferid
e tutt quei che stè colpid;
sarà quest un’azioun bela…
ma e magoun an si scancela!
Chi puvreitt chi s’iè trovè
i dovrà sempre sospirè!
Questo lo vedo, che la nazione
spenderà un sacco di milioni
per soccorrere bambini feriti
e tutti quelli che son stati colpiti;
sarà questa un’azione bella…
ma il groppone non si cancella!
Quei poveretti che ci si son trovati
dovran sempre sospirare!
E taramot le un gran disastre!
ma andè pou a tachei ‘nimpiastre!
Le un demonie i qua giù sotta
che scrulla e manda a testa rotta
omne e ches cla sòra Lou
cosa vliv ragionè più!?
le un fenomen naturel
an si po fe ne ben ne mel.
Piutost la guera le un delitt
cla fa di mort, cla fa d’iaffleitt
cla soprim tutt i più abil
e la ha i su responsabil!
Che a foss e popul istruid
ed eduched e non invornid
sarea arriv a trapas l’ora
da mandela alla malora!
ma e puraz poc e capisc
e la guera l’an finisc.
Il terremoto è un gran disastro!
ma andate pura ad attaccargli un impiastro!
E’ un demonio quaggiù sotto
che agita e manda a testa rotta
uomini e case che stan sopra di Lui
cosa volete ragionare più?
E’ un fenomeno naturale
non si può far né bene né male.
Piuttosto la guerra è un delitto
che fa morti, che fa afflitti
che sopprime tutti i più abili
e ha i suoi responsabili!
Che se fosse il popolo istruito
ed educato e non invornito
sarebbe arrivata e anche passata l’ora
di mandarla alla malora!
Ma il poveraccio poco capisce
e la guerra non finisce.
…. questa è solo la metà della zirudella: nella parte che segue Villa racconta il congresso di Parigi e il quadro politico internazionale che stava portando l’Italia nel pieno della Prima Guerra Mondiale…