Due significati diversi, ma attinenti. E’ una delle parole che più frequentemente si possono ascoltare nell’intercalare di tutti i romagnoli. Basta un punto esclamativo a cambiarne il senso.
Os-cia è l’ostia, la particola con cui si fa la Comunione.
U n’è faréina da fè òs-ci (non è farina per fare ostie) indica un tipo poco raccomandabile, un poco di buono.
Us magnarìa enca l’os-cia di chén (si mangerebbe anche l’ostia dei cani) si dice per un ingordo.
Os-cia! (in questo caso l’esclamativo è d’obbligo) è un’esclamazione, un’interiezione o, meglio, un’imprecazione.
Os-cia, ac bèla dòna! (acciderbole, che bella donna!)
Os-cia, ac ciavèda chi t’ha dè! (accidenti, che “fregatura” t’han dato!)
Os-cia, ac fata ròba (accidenti, che roba!)
Si dice spesso anche “osta!”.
Per darvi un’idea: quando Sergio Zavoli venne nominato presidente della Rai, nel 1980, dall’amico Federico Fellini ricevette un telegramma dal testo brevissimo, ma dal significato chiaro. “Osta, té!”
Questa, invece, è attualità elettorale: Os-cia, ac frighèda c’avém avù, sàbat e dménga!
leggendo così da noi Genova sarebbe
O signore o Signora
utilizzato più in senso di riverenza
o scia Cristella
O scia Cristella tee segua d’avei piggiou tutta sta fregatua?