“Carlo Ardini nato e sempre vissuto a Viserba, ha insegnato nella scuola elementare per trentotto anni.
Non c’è altro da esibire nel curricolo della sua vita”, scriveva nel risvolto del suo romanzo “La pesca reale”, pubblicato nel 2001.
Una prosa decisamente piacevole e curata, la sua, con molti riferimenti, più o meno velati, a personaggi, luoghi e avvenimenti della nostra Viserba.
Il racconto “Sic transit”, ad esempio, ci porta indietro di diversi decenni, forse un secolo. La spiaggia, le ville, i loro ricchi ed eleganti proprietari, la servitù, i pescatori…
Due personaggi di questo racconto, la signora e la giovane cameriera, potrebbero benissimo essere le due figure che camminano sulla spiaggia viserbese in una delle tante fotografie d’epoca presenti nell’archivio de l’Ippocampo. Viste di spalle: la padrona in accappatoio chiaro e lunghi capelli sciolti sulle spalle, la ragazza al suo servizio con la divisa nera, il grembiulino bianco e l’involto con le cose della signora.
Sì, sono proprio loro: la spregiudicata “femme fatale”, emule di Lady Chatterley,che va incontro al suo Olinto e la ragazzotta “agghindata con grembiule di satin nero, crestina e pettorina”.
Buona lettura!
Sic Transit
(di Carlo Ardini, n. 28 aprile 1922 – m. 20 settembre 2006)
Nella scia della Bella Otero, di Lina Cavalieri, di Eleonora Duse, anche lei avrebbe desiderato di vivere una vita d’arte e d’amore. Teatri, tournées: Vienna, Budapest, Berlino, Pietroburgo, Londra, Parigi,. Genio e sregolatezza. Applausi e alcove. Ma dopo un breve fulgore, ahimè troppo presto invischiata nelle panie di un amore sospettoso, costretta a sopportare i postumi purtroppo prolungati della interruzione d’una gravidanza, finì anzitempo, come meteora caduta in mare, nella villa con torretta in faccia all’Adriatico verde e amarissimo, ad aspettare il ritorno del suo Pinlkerton.
Qui sprecava mestamente i giorni nel rimpianto degli splendori passati mal tollerando la troppo lunga attesa, ed esprimeva il proprio rammarico malinconico con sonate appassionate sulla tastiera toccata con crescendi disperatamente violenti davanti alla vetrata aperta sul mare. Nel lume che ardeva diuturno davanti a un’immagine della Vergine vedeva la propria fiaccola che l’amato sarebbe venuto a trarre da sotto il moggio, e com’esso si consumava.
Per alcuni anni il vento disperse quelle note senza riportarne alcuna eco sperata, ogni giorno dei quali ella ammantata di lunghe vesti seriche, di vaporosi veli, di scialli frangiati, adorna di piume, di volpi e zibellini, cosparsa di ciprie e di ombretti e d’acque di Colonia, recitò la scena dell’incontro con gesti ondeggianti e tragici, con sorrisi sempre più spenti nel volto che mostrava i segni di un’incipiente estenuazione nella luce del grande specchio ovale.
Non le rimase che tentare di conformarsi al luogo dove si trovava, alla prosaicità della vita quotidiana, senza tuttavia rinunciare alle sue abitudini da proscenio. Così, si diede a insegnare alla ragazzotta che le veniva a fare i servizi di casa le buone maniere e le belle frasi, curandone la dizione e il sorriso, dei quali le offriva esempi lei stessa secondo i canoni del vaudeville; cosicché la ragazza, agghindata con grembiule di satin nero, crestina e pettorina, imparò a presentarsi facendo la riverenza col sorriso sulle labbra, a recitare la frase di rito: che cosa comanda la signora? Oppure per annunciare: Signora, il pranzo è servito.
Si recò poi a presentarsi al parroco, al quale si offrì per insegnare ai bambini la recitazione di poesiole e sermoncini in occasione di feste religiose e il canto d’inni liturgici e natalizi con accompagnamento di pianoforte. Con le maestre della scuola elementare concordò l’allestimento d’una pantomima sulla primavera, nella quale sarebbe comparsa lei stessa come dea insieme coi bambini.
Tutte queste attività le procurarono la stima dei benpensanti, ai cui occhi appariva come una signora tanto distinta; al contrario, il popolino si diede i lazzi, ma soprattutto le donne, che dicevano di lei “ quella giovane-antica che insegna a fare i salti alle scimmie”. Ma lei passava attraverso il paese con la sua teatralità un po’ folle: gli occhi bistrati, il sorriso professionale sotto il quale celava se stessa e la propria età. Quanti anni aveva? Al circolo parrocchiale gliene davano una quarantina; nelle osterie si andava più verso i quarantacinque che i quaranta. Però la sera che rappresentò la dea Primavera nel cinema-teatro locale, in veli succinto e calzamaglia, parrucca serica fluente e lunghe collane e gale, fulgida di creme e di carminio, nessuno osò darle più di trent’anni.
Tra il pubblico che assistette all’esecuzione della pantomima c’era un certo Olinto, pescatore e padrone di barca, sui cinquanta, che spesso gettava l’ancora del suo battello nelle acque di fronte alla villa con torretta e che perciò aveva avuto modo di notare più d’una volta la signora affacciata al balcone. Dopo quella sera prese a guardarla con altri occhi e con altri pensieri.
Va detto che Olinto era un appassionato frequentatore di spettacoli di varietà, ai quali non mancava di recarsi specie d’inverno quando le burrasche imponevano lunghe soste al suo lavoro, nella città vicina dove si esibivano compagnie più o meno famose. Da vero intenditore sapeva apprezzare sia le gambe delle ballerine che la verve dei fini dicitori, sia le satire e le arguzie dei comici che le virtù canore dei cantanti e la bravura degli strumentisti delle orchestre.
Ma Olinto aveva saputo cogliere nell’esibizione della primaverile signora (Un po’ troppo spinta! Aveva commentato il parroco in preda a una forte emozione), oltre alla scaltrezza del mestiere, un messaggio più recondito, che a lui, uomo taciturno e deciso, brusco di modi e non avvezzo a fare complimenti, ma tuttavia sanguigno, non poteva sfuggire.
Tornato dalla pesca col suo battello un pomeriggio di maggio inoltrato, rivide la signora al balcone, come sempre sospesa lassù tra terra e cielo; e dopo che fu sceso dalla barca col cesto del pesce, s’avvicinò alla villa e dal basso fece a lei il gesto di volergliene offrire. La signora graziosamente accettò. Dall’alto aveva seguito con lo sguardo la vela appressarsi alla riva e tutte le fasi dell’approdo, svagata in un pensiero romantico.
Olinto salì la scaletta che dalla spiaggia portava al giardino della villa e col suo passo lento e siuro arrivò fino all’ingresso, dove trovò ad attenderlo la ragazza di servizio, alla quale consegnò alcuni tra i pesci più belli. Quindi entrò in casa col suo passo misurato e salì fino al terrazzo dell’altana.
Appoggiata alla balaustra, la signora era ancora rivota verso il mare, da dove la bella stagione mandava a quel tardo pomeriggio una brezza leggera, un soffio tiepido che muoveva il tulle serico della vestaglia. Volle la signora cadere vittima d’un assalto brutale? O volle recitare una scena di realismo su quel proscenio aperto sul mare?
Quando la ragazza che s’era messa ad ammannire i pesci sentì squillare la voce della signora lassù in alto e allarmata si fece alla tromba delle scale per chiederle di che cosa stesse soffrendo, si sentì rispondere: “No, No… è buono, non mi fa del male.”
A quel punto la ragazza, ripassando davanti all’immagine della Vergine, soffiò sul lume e lo spense.
Finalmente sgravata dalla pena della lunga attesa, la signora ebbe la felicità di vedere ogni giorno un approdo alla sua riva; oppure, ritta a prua come una polena, di tornare all’approdo dopo la pesca. E quando il mare costringeva la barca a restare in porto, andavano insieme a godersi l’avanspettacolo o il varietà nei locali cittadini.
Un giorno d’autunno arrivò ormai inatteso l’uomo del silenzio. Indossava un impermeabile grigio, sciarpa e cappello ad ampia tesa, che lo scirocco lo obbligava a tenere calcato sulla fronte. Appariva magro, spettrale. Aveva con sé un copione, e subito propose alla signora di tornare a calcare le scene, parlando di teatri, di tournées: Vienna, Budapest, Berlino, Pietroburgo, Londra, Parigi. In realtà, le parve di capire che avesse bisogno di lei.
Ma lei aveva già programmato un lungo viaggio per mare, che l’avrebbe tenuta lontana per mesi, forse per anni; e gl’indicò il pianoforte e il balcone, che l’avrebbero aiutato a ingannare l’attesa.
Prima d’andarsene insieme con la ragazza alla casa di Olinto non tralasciò di riaccendere il lume davanti all’immagine della Vergine.
prosa perfetta, aderente al contesto. Bello!
Princy, vero che sarebbe una bella sceneggiatura per un film o un telefilm?