Scanzonata filosofia riminese. “Par piasér: ch’la m ne màza un chél!”

INTERNO GIORNO

Viserba di Rimini. Pomeriggio d’autunno nella sala d’aspetto del medico di famiglia. Stanza in ombra, dal soffitto basso. Aria stantia e pesante. Scomode seggiole addossate ai muri. Scaffaletto con vecchie riviste.

Tutti i posti occupati: tre o quattro signore di mezza età, due anziani con la cartella delle lastre in mano, un ragazzo di colore, un rappresentante del farmaco con la borsa di pelle d’ordinanza.

Cristella entra.

“Buona sera, chi è l’ultimo?”

“Ciao, Cristella. L’ultima sono io”, risponde la signora bionda. Che continua, rivolgendosi al rappresentante: “Lei si sbriga, vero?”

“Ma certo, signora. Tranquilla. Da questo dottore vi va grassa, perché facciamo la fila insieme ai pazienti. In altri posti, invece, abbiamo la precedenza.”

Si sente un “Hmmm…” generale.

“Ma quanto sta dentro, quello là? Gli deve raccontare la sua vita? E’ entrato da un’ora!”

“Forse dovrà fare il cardiogramma…”

.. e la bionda inizia il suo quasi monologo, tanto deve aspettare e “quello là”, forse, fa il cardiogramma…

“Sai, Cristella, da quando sono diventata nonna non ho più tempo per niente. Sempre dietro a quel bambino!”

“Ah, sì?”

“Già! Come farebbero, senza le nonne! Tutta la giornata dietro al piccolo. Non riesco più ad andare da nessuna  parte.”

“Ti dà molto da fare?”

“Pensa che non vado in centro da qualche anno! La spesa la faccio sempre qui. Prima andavo, ogni tanto sul Corso, in piazza. Ora non ci riesco più.”

“Ah…”

“Sono anni, ti dico! Sono anni che non vado in città!”

“Davvero?”

“Eh sì! L’altro ieri ho letto sul giornale che al posto dell’Oviesse hanno aperto un negozio nuovo. Degli svedesi. Ah, vendono roba da poco, anche cose usate. Quando hanno aperto c’era la fila dalle cinque del mattino!”

“Hmmm?”

“Sì, sì! C’era scritto sul giornale! E poi dicono che c’è la crisi! Dai, prima andavo ogni tanto in città a comprare un maglioncino per il mio Giovanni. Ma da quando ho il nipotino… Beh, a dire il vero vado alla pescheria del mercato coperto. Per questo ci vado, in città! Ah, sì che lì si fa bene. A parte le cannocchie: l’altro ieri facevano schifo. Erano morte. Ti dico: morte! Si potrà mai? Le cannocchie io le voglio vive, che devono muoversi e guardarmi negli occhi. No, no! Erano nere, morte, che schifo! Ti dico: proprio morte! Non posso comprare le cannocchie così brutte! Non è possibile, non riuscirei a mangiarle! Perché, tu le compreresti? Dì la verità, Cristella. Io vado in città solo per quello e mi trovo in pescheria ‘sta robaccia? Ma perché non rispondi? Perché ridi?”

“Niente, così…”

C’erano il rappresentante, i due anziani, il giovane straniero, le altre signore: Cristella non ha avuto il coraggio di spiegare il motivo del suo sorriso. Semplicemente, la scenetta della pescheria pareva proprio la stessa raccontata da Giovanna Pulzoni, nota autrice e regista di commedie in dialetto riminese.

Eccola.

La scena si svolge in pescheria, fra un’avventrice (a) e una pescivendola (b):

a: «Sgnóra, cum ëla cal canöci ch’al n à e’ prëz cumpàgn, che quèlli al cösta diés e quèlli zìnc?».

b: «Ah, mö perchè quèlli li s möv, agl’è vìvi!».

a: «Alóra ch’la m fàza un piasér, ch’la m ne màza un chél!»

 

a: «Signora, com’è che quelle canocchie non hanno il prezzo uguale, che quelle costano dieci e quelle cinque?».

b: «Ah, ma perché quelle si muovono, sono vive!».

a: «Allora mi faccia un piacere: me ne ammazzi un chilo!»

 

 

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