Siamo donne o “mogli di”?
A me sembra molto umiliante, per la dignità delle donne, il fatto che alcune di noi si debbano far ri-conoscere attraverso il cognome del marito. E ancor di più la cosa mi fa incavolare se questo coniuge è, da tempo, un ex.
Andiamo al sodo: una certa Daniela Santanchè, in queste ultime ore balzata all’onore delle cronache per alcune acute affermazioni riferite a donne “politiche” di oggi e Donne Politiche (Grandi, Maiuscole) di ieri, in realtà si chiama Garnero. Ha lasciato il marito Paolo Santanchè (chirurgo estetico, ma guarda un po’…) dal 1995.
L’uso di essere individuata attraverso il cognome di un altro, soprattutto quando questo “altro” non ha più nulla a che fare con te, non lede la tua digntà di persona che vale per ciò che sei? Ma a far compagnia a Daniela metto anche le varie Moratti et similia.
In Italia l’uso del cognome maritale è terminato una trentina d’anni fa. Era obbligo nel pubblico impiego. Anch’io, all’inizio della carriera, nelle liste del ministero da cui dipendevo risultavo col doppio cognome. E ricordo quasi tutte le mie insegnanti che portavano il cognome del marito. Ma da 30 anni questo metodo non vale più. Chiuso. Vecchio. Anacronistico.
E, soprattutto, offensivo per il valore della donna.
Potremmo immaginare il contrario? Chessò: mio marito che diventa Paolo Muccioli. Maddai, signore siliconate e sciure petroliere, fatevi venire una botta d’orgoglio e ritornate voi stesse.
Potreste anche scoprire (si sa mai?) di essere molto di più della “moglie di”!
Probabilmente il cognome del marito è l’unica cosa che le permette di stare dove sta.