Ne è passata, di acqua sotto i ponti, da quando, nel lontano settembre del 1979, Cristella ha iniziato la sua carriera lavorativa nel mondo del lavoro. Nel senso vero: impiegatuccia/travet nel minuscolo Ufficio di Collocamento di Gatteo. Uno stanzino polveroso tre metri per due, dove non c’era neppure posto per far stare seduti comodamente il collocatore titolare e la sottoscritta appena arrivata. Ufficio ammobiliato con scaffaletti in faggio, schedari zeppi di tesserini rosa in cartoncino e consunti libretti di lavoro da riempire con timbri, carta velina e fogli copiativi blu per scrivere a mano i nulla osta in quadruplice copia, la disoccupazione che pagavamo con 800 lire al giorno, aziende che correvano avanti richiedendoci personale che il giorno dopo “mandavamo” subito, fossanche la prima quattordicenne baldanzosa che varcava la soglia del nostro ufficio.
Era così, giuro.
Poi le cose sono cambiate. Dal 1987 stop a graduatorie e richieste nominative e numeriche: se vuoi essere assunto devi piacere al datore di lavoro, devi saperti vendere senza contare sull’assistenzialismo dell’ufficio pubblico (salvo le eccezioni – giuste – delle ‘categorie protette’).
E qui comincia la comica: quante ne ho sentite, agli sportelli, in oltre trent’anni!
Mille volte, sempre con voce alterata: “sono iscritto da dieci anni e non mi avete mai trovato un impiego!”
Perché dai, tu sei lì al suo servizio, mica per scaldare la sedia come fanno tutti gli statali. “Io ho reddito zero e non marco una giornata da tanti anni! Il lavoro me lo trovate, sì o no?”
E se qualcuno entra in quel momento per dire: “C’è da spostare la mercedes qui davanti!”, indovinate di chi è è quella mercedes?
Ma come hai fatto a vivere in questi dieci anni, col reddito zero, dico io. Non è che lavori in nero o che evadi le tasse che poi io pago per te?
A dire il vero, momenti realmente drammatici come quelli di questi due ultini anni non si sono mai visti. File file file. Giovani, adulti, donne, uomini, italiani e stranieri, nuovi e “vecchi” disoccupati.
E le risposte non ci sono. Non per colpa nostra. Noi impiegati cerchiamo di guadagnarci lo stipendio con lo spirito di servizio che è doveroso per chiunque faccia qualsiasi tipo di lavoro. Posso garantire che la dignità personale non ha crepe, su questo aspetto.
Ma ne abbiamo viste tante, che certe volte, per sdrammatizzare un po’, ci consoliamo raccontandoci questa storiella (ma non crediate che non siano mai successi, questi dialoghi…).
INTERNO GIORNO. Sportello di un qualsiasi ufficio di collocamento (o Centro per l’impiego, o agenzia del lavoro…).
“Ma insomma, quand’è che mi manda a lavorare, signora? Lei sta lì a scaldare la sedia? Io vengo da cinque anni a timbrare il cartellino e non mi fa mai delle proposte!”
“Ah, oggi è fortunato, signor X. Proprio ora un albergatore di Torre Pedrera è venuto a cercare un lavapiatti.”
“Torre Pedrera? Ma vorrà scherzare. Io abito a Miramare! Troppo lontano!”
“Scusi, scusi. Pensavo… Vediamo un po’. Ecco, forse questo fa per lei: cercano un operaio nell’edlizia.”
“Al freddo e alla pioggia? Ho un po’ di reumatismi. Non ha qualcos’altro?”
“Cerco, aspetti. Bello! Sì sì. Questo è giusto: commesso nel Centro commerciale Le Befane.”
“Ci vada lei: lì ti fanno lavorare anche al sabato e alla domenica…”
A questo punto anche la Cristella più paziente del mondo è o non è legittimata a perdere le staffe? Non certo l’ironia, però.
Scartabella un altro po’ e, trionfante, dice a mister X:
“Ah, questa offerta non se la può far scappare!”
“Dica dica, signora!”
“Guardi, fa proprio per lei: c’è da viaggiare facendo del sesso…”
“Oh, vede che se vuole il lavoro giusto per me lo trova? Di cosa si tratta?
“VA A FAN CULO!!!!”