Agli uraziòn de mi bà

“Cantilene e filastrocche – scrive Vittorio Tonelli nel suo libro ‘La veglia nella Romagna dei nonni‘ – entravano in certe preghiere, più ludiche che mistiche. E’ il caso di ricordare ‘L’urazion ad Sènta Cièra’, in un frammento da me appreso (dialettofono com’ero) sulle ginocchia materne:

L’urazion ad Sènta Cièra

banadet a chi l’impèra!

U l’impèra un peligren

che l’è sgnet a San Marten.

La su mama la i dé ‘na pena d’or

e e’ su fiol u n’l’ha avluta,

u l’ha buteta sovra una rora.

La rora la vulteva…

Tòtt è mond u si spianeva!

La filastrocca-preghiera, cantata come una ninnananna, costituiva una sorta di sonnifero per i piccoli. Le mamme lo sapevano e li invitavano ad andare in camera, anche se recalcitranti, non volendo correre il rischio di vederli stramazzare sull’arola calda e piuttosto bassa, rialzata com’era sul pavimento solo una ventina di centimetri.”

Leggendo queste pagine, a Cristella tornano in mente le filastrocche-preghiere del babbo, che ogni volta provocavano l’arrabbiatura della mamma. Peccato averne registrate solo alcune. Come queste, raccontate da Panarèt (Martino Muccioli) il 6 luglio 1996, all’epoca 79enne.

Domine subisco,

è passato e non l’ho visto.

E’ passato sotto il letto,

ha rubato il scaldaletto.

 

“Dire il Patèr”, significava “recitare il Rosario”, abitudine di ogni sera in tutte le famiglie, mentre le donne di casa facevano la calzetta. Ecco, allora:

Patér, nustèr,

una calzèta ad fèr,

una calzèta ad lèna,

e’ Patèr a l gém

stèlta stmèna.

 

L’incipit del “Requiem aeternam”, infine, per Panarèt diventava uno scherzoso:

Réchia materna, vècia sta ferma...

 

La vecchia che doveva stare ferma forse era la nonna? Chissà.

Nelle intenzioni, non c’era sicuramente irriverenza verso la religione: chissà se il Paradiso Panarèt se l’è guadagnato lo stesso?

 

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