Mamma,
Sono passati otto anni. Era caldo come oggi, con le rose fiorite e i piumini dei pioppi che entrano ovunque e mi fanno tossire. Per la strada piangevo, grossi lacrimoni scendevano da soli, non riuscivo a trattenerli. Guidavo così, per il tragitto da casa all’ospedale. Tu eri lì, in quel letto, tranquilla e serena, come sempre… La testa appoggiata sul cuscino, un po’ piegata. Le belle mani operose, con lenti movimenti delle dita accarezzavano il risvolto del lenzuolo.
“Non dare fastidio”… questo il tuo impegno anche nella sofferenza.
“Non ti preoccupare, vai a casa che s’è fatto tardi, va’ piano, metti la cintura, tratta bene il marito e le figlie, sii puntuale, rispetta l’impegno, non essere maleducata, non alzare la voce, chiedi permesso…”
Mamma, ci hai plasmati con queste raccomandazioni, dando l’esempio tu per prima.
“Fai fè quèl c’la vò, ma c’la burdèla. – mi dicesti il penultimo giorno della tua vita – C’l a n’épa da piènz par còlpa tua!”
Mamma, ti ho ascoltato: “al burdèli” oggi sono grandi, affidabili, indipendenti.
Una gira il mondo da sola ed è più adulta di me. L’altra è qui vicino e mi aiuta a “tenere botta”. L’an piènz, mamma: ride ed è felice con la sua famigliola. Sì, mamma, la piccola ci ha regalato un nipotino bellissimo e simpaticissimo, che sarebbe un’altra grandissima gioia per te.
Guardo loro e penso a te. Nei sorrisi aperti e puliti rivedo te. Nelle parole mai urlate e responsabili risento te.
Il piccolo ride, se lo dondolo sulle ginocchia e gli canto “caccia minaccia…” si lascia andare indietro senza paura, nell’attesa del “butta laggiù laggiù!”, sicuro che le mie mani non lo lasceranno.Così come facevi tu con me bambina.
Mamma, stringimi ancora le mani… Così continuerò a non avere paura del “butta laggiù laggiù!”
Per chi non conoscesse ancora “caccia minaccia”, ripropongo un post del 2008:
Caccia minaccia, butta laggù laggiù!
Nella memoria musicale ed affettiva di Cristella (parliamo di oltre quarantacinque anni fa!) ci sono un paio di “dondoline”.
Avanti e indietro, in un’altalena ritmata che finiva con un “giù giù giù”… Un piccolo brivido di pericolo, mitigato dal senso di sicurezza dato dalle mani che la tengono salda e la trattengono dalla caduta. Qualcuno (il babbo, la mamma, i nonni?) la teneva in braccio guardandola negli occhi e sorridendo.
E cantava:
Caccia minaccia il babbo è andato a caccia alla caccia del bubù butta laggiù laggiù
Oppure, in dialetto, la prima lingua imparata (fino all’età di cinque anni lingua madre di Cristella):
Bèl burdèl fat a canèl magna luvéin chiga stupéin
Bel bambino fatto a cannello, mangia lupini, caga stoppini.
Solo tanti anni dopo, ho scoperto la spiegazione di quest’ultima dondolina. Una piccola storia legata all’arte molto diffusa della tessitura casalinga: quando le donne filavano la canapa, per facilitare l’operazione il filo doveva venire inumidito di continuo. Si usava sputacchiarci sopra. Ma presto la salivazione doveva essere stimolata masticando qualcosa di piccolo. In mancanza di chewingum c’erano castagne secche (i cuciaròl), piccole mele o lupini. Respirando poi le fibre rilasciate dalla canapa, i bambini (“fatti come il cannello” su cui si avvolgeva il filo) e le donne stesse avrebbero defecato degli “stoppini”.
Un’altra dondolina, simile alla prima, è quella che la bisnonna Mina, riminese, cantava alle piccole principesse Dora e Cinzia:
Caccia minaccia farém la pida in piazza a la farém ben dura passerà la mura la mura e la porta la chiave dell’orto la chiave del giardino butta giù a quel bambino!
Perché non cercate anche voi nella vostra memoria le dondoline legate al ricordo dei nonni? Se in dialetto (qualsiasi, anche siciliano o piemontese) ancora meglio!
Via libera, dunque, ai commenti nostalgici di blogger “ex bambini”.