Par la vzéglia ad Nadèl e’ bsogna arnuvé (per la vigilia di Natale si deve rinnovare).
Un imperativo, in Romagna. Con i negozi e le bancarelle che vendono biancheria intima presi d’assalto per gli acquisti dell’ultima ora.
Arnuvè, cioè indossare qualcosa di nuovo.
Una tradizione che poteva essere giustificata dal fatto che fino a qualche decennio fa le occasioni di comprare capi di vestiario nuovi erano pressoché inesistenti. Inoltre, nelle famiglie più modeste quel poco che si rinnovava era creato in casa: o maglie e calzettoni fatti ai ferri (d’agoc) oppure mutande e sottovesti cuciti dalla nonna in caldo fustagno.
Si rinnovava anche pr’i murt e a Pasqua, perché allora le mezze stagioni arrivavano puntuali…
Alcuni amici di Facebook, interpellati sull’argomento qualche giorno fa, hanno dato la loro versione:
– la notte di Natale si rinnovava sempre qualche cosa di intimo perché si risparmiava una malattia (Deborah)
– mia nonna e zie anziane usavano rinnovare biancheria e abbigliamento per sottolineare un tempo di rinascita (Maria Teresa)
– tradizione che c’era anche a casa mia e mantengo ancora la tradizione di rinnovare e di far rinnovare ai miei cari intimo o pigiama nuovo (Carla)
– le mamme ci tenevano a rinnovarsi la biancheria da sotto (maglia di lana maniche lunghe che pizzicava e mutande), tradizione che si traduce nel rinnovarsi dentro e fuori (Giovanna)
Una piccola ricerca nei libri dello scaffale romagnolo conferma il tutto.
“Il giorno di Natale si indossava una camicia nuova per preservarsi da malattia nell’anno che stava per incominciare”, trovo scritto in “Romagna e civiltà” di Quondamatteo e Bellosi.
Però è bella anche la versione del rinnovarsi, farsi nuovi.
Quindi, la morale della favole è: Bon Nadèl! Arnuvèv!