Erano giorni di cambio, quelli del primo e del due novembre, di incontro tra arrivo e partenza. Una sorta di capodanno pagano, sicuramente dettato dai lavori agricoli completati, in attesa del meritato e doveroso riposo invernale dei terreni.
C’è da dire, anche, che fino al 1976 la giornata del 4 novembre era una festa nazionale, dedicata alla vittoria italiana nella prima guerra mondiale.
Quindi: uno, due e quattro novembre, tutti festivi. Niente scuola, niente lavoro.
Nei ricordi di Cristella bambina c’è la fotografia familiare della visita ai piccoli cimiteri dei paesi dove erano vissuti e dove ora riposavano i nonni e i parenti passati a miglior vita: Sant’Angelo, Sala di Cesenatico, Gambettola, Bulgaria, Macerone…
In realtà, il ricordo non è affatto cupo e triste: era festa!
Nei piazzali esterni ai cimiteri c’erano sempre le bancarelle dei dolci e di piccoli giocattoli. Un fischietto di zucchero e qualche liquirizia, forse una carruba… poco altro: le pretese erano proporzionali alle possibilità del babbo e della mamma.
Era festa anche perché si incontravano i cuginetti e gli zii, quelli vivi!
E poi, che bello, era l’occasione per sfoggiare il cappottino nuovo, quello che dava il via alla “collezione autunno-inverno”, come si direbbe oggi.
Il “piccolo palétot” era quasi sempre ricavato da un vecchio cappotto delle sorelle più grandi, smontato e rivoltato.
“Bsugnèva stè aténti m’al finistrèli” (bisognava fare attenzione alle asole), ha confermato oggi mia sorella Teresa, sarta ora e allora. Perché rivoltando la stoffa, le asole rimanevano dal lato sbagliato. E allora dovevi coprirle con rammendi o con i nuovi bottoni.
Di solito Cristella bambina “l’arnuvèva e’ paltunzéin” (rinnovava il paltoncino). E come si stimava!
Forse anche le scarpe nuove. Perché quelle, sì, che bisognava comprarle a ogni stagione.
Eccola, coi suoi occhialini da sapientina, che, insieme alla mamma e al babbo, si ferma davanti alle foto del nonno e degli zii mai conosciuti uccisi da una granata nel 1944. Si fa il segno della croce e recita l’eterno riposo.
Però c’è qualcuno che attira l’attenzione dei grandi: la cugina Rosetta, coetanea, che inizia il padrenostro in latino.
Il paragone è d’obbligo: “T’è vést? Lì la sà ènca e’ Patèr!”