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Ab omnibus et singulis observari, non obstantibus aliquibus convenctionibus… Le strade di Rimini qualche secolo fa.

Decretum super viis et pontibus.

Carolus de Malatestis Arimini etc., pro Sancta Romana Ecclesia vicarius generalis, cum hoc sit quod…

Beh, forse meglio guardarsi la versione in italiano moderno.

Si tratta di un decreto del 30 maggio 1389 inserito nella raccolta degli Statuti del Comune di Rimini.  E’ passato un po’ di tempo, giusto? Ma in certi stralci pare ancora attuale. Sentite un po’.

DECRETO SULLE VIE E SUI PONTI

Carlo Malatesti di Rimini ecc., vicario generale per la Santa Chiesa di Roma. Poiché è accaduto che molti anni fa le strade, le vie, i ponti ed i pozzi del contado e del distretto di Rimini per diversi motivi non furono riparati secondo la dovuta esigenza; per questo motivo i nostri sudditi tanto cittadini quanto abitanti del contado e anche i passanti sopportarono non poche scomodità per tutto questo tempo e ancora nel presente sopportano danni tali che quanto sia cosa empia e non conforme alla legge, lo proclamano le sanzioni civili e canoniche nonché gli Statuti della nostra città di Rimini compilati già da lungo tempo dagli antichi reggitori della città per volere e volontà dei nostri padri.

Perciò sempre concordi che siamo obbligati all’ordinamento delle leggi tanto dei Comuni come dei municipi per quanto possibile; desiderosi di provvedere con cura indefessa al benessere dei nostri sudditi con le presenti disposizioni, deliberiamo, ordiniamo e proclamiamo che tutti gli abitanti del contado e del distretto della nostra città di Rimini, ovunque si trovano, sono obbligati, devono e possono essere costretti dal nostro ufficiale delle strade e dei ponti della città e del distretto eletto sopra i predetti uffici e da eleggere in futuro a lastricare e a riparare le strade, le vie, i ponti, le fonti ed i pozzi del contado con riferimento alle rubriche che trattano la predetta materia.

E vogliamo che si osservino integralmente le predette norme da parte di tutti, senza ostacolo delle convenzioni (Ab omnibus et singulis observari, non obstantibus aliquibus convenctionibus…),  decreti, benefici elargiti o privilegi concessi o fatti da noi o dai nostri antenati ai castelli, ville, corporazioni o a singole persone; a tutti questi vogliamo che da ora sia tolta ogni prerogativa. Tuttavia da questi escludiamo il castello di Serravalle e la sua corporazione che vogliamo considerare come un territorio al di fuori della città. Parimenti escludiamo il castello, gli uomini e la corporazione di Onferno del contado di Rinini che per questo anno non vogliamo sia molestato, affinché gli abitanti possano occuparsi della nuova costruzione e fortificazione a favore dei detti castelli, ecc.

Dato a Rimini, il giorno 30 maggio 1389, indizione XII, il notaio Valentino sottoscrisse il presente decreto.

Da chi Zuclòn: il perché e il percome della nuova insegna sulla via Sacramora

Avere una pizzeria-ristorante praticamente in casa? Certo che per una che è in dieta perenne questa non è proprio la situazione migliore!

Ad ogni modo, l’apertura del nuovo locale, avvenuta in queste settimane, ha il significato di una “botta d’orgoglio” – a dirla con le parole del maestro Silvano – per Viserba e per la zona Sacramora in particolare.

via Sacramora 47 - Viserba di Rimini - tel. 0541 734737

 

 

 

 

 

 

 

Non è per interesse personale che racconto la storia dell’avventura imprenditoriale che parte praticamente da casa mia, ma proprio perché penso che in questi tempi in cui la gente guarda al futuro con incertezza e grigio negli occhi, sia veramente importante trovare chi invece ci mette del suo e si rimbocca le maniche.

Vediamo , allora, di conoscere meglio questi Zuclòn, che hanno acceso una nuova luce sulla via Sacramora. Continua a leggere

Bon dé, bon an, ch’avìva dla furtona par tot l’an!

A grande richiesta… ri-ecco a voi le antiche usanze romagnole del 31 dicembre e del primo gennaio.
Da notare, nelle ultime righe di questo post, l’origine della poca considerazione per le donne che esiste tuttora.

Vabbè, Buon Anno a tutti. Alle donne in particolare!

Testo tratto da Gianni Quondamatteo e Giuseppe Bellosi, Romagna Civiltà. Vol. I – Cultura contadina e marinara, Grafiche Galeati Imola, 1977.

L’ultimo giorno dell’anno le donne si guardavano  dal lasciare incompiuto un lavoro già intrapreso. Si traevano ora gli auspici per l’anno venturo. Così ne descrive uno il Bagli: L’ultimo giorno dell’anno prendono tre fagioli. Ne tengono uno colla buccia, ne pelano un altro a metà, e l’ultimo per intero, poi lo chiudono in un cartoccio, e li mettono la sera sotto il capezzale del capo di casa. La mattina del primo giorno dell’anno riprendono  il cartoccio, poi fanno estrarre da un bambino uno dei tre fagioli. Se esce quello colla buccia è segno di fortuna per tutto l’anno, se quello con metà buccia significa mediocre fortuna, se esce quello senza buccia affatto significa disgrazia”.

Altri auspici si traevano il primo dell’anno con questo gioco, pure raccolto dal Bagli:

“Nascondono una chiave, dell’acqua, della cenere e un anello; poi quegli che ha nascosto la roba manda gli altri a cercarla, e chi trova la chiave  sarà fortunato tutto l’anno; chi l’anello dovrà farsi lo sposo nel corso dell’anno; chi trova l’acqua piangerà tutto l’anno; e finalmente chi trova la cenere dovrà morire”:

E sempre in tema di pronostici scriveva il Placucci:

“Sono vigilanti li contadini, tanto uomini che donne, nel sortire di casa nel primo giorno dell’anno a rimarcare il soggetto che incontrano per il primo, desumendo da tale incontro un preludio o fausto o funesto per le vicende dell’anno intero.

– Se incontrano un povero, è un augurio cattivo.

– Se incontrano un benestante, e dabbene, presagisce un buon anno.

– Incontrandosi in un vecchio significa morte di qualcuno della famiglia entro l’anno; quale presagio si ha incontrandosi in un prete da uomini, fanciulli, o donne maritate.

– All’opposto, se una giovane nubile, od una vedova s’incontra in un prete, è segno che in quell’anno deve unirsi in matrimonio.”

Oltre che trarre auspici si cercava di propiziarsi a Capodanno l’anno nuovo, iniziandolo bene. Si mangiava l’uva appassita bianca perché portava denari, si facevano un po’ tutti i lavori soliti perché poi riuscissero bene nel corso dell’anno.

Il Placucci ricorda anche l’usanza di dare il buon anno e afferma che al suo tempo questo augurio si costumava ‘solo fra fra gli anziani ed i capi delle ville’, i quali, incontrandosi tra loro, dicevano ‘Bon dé, bon an‘ e si rispondevano a vicenda ‘Dì u z’e cunzéda‘ (Dio ce lo conceda).

Ma ancora fino a pochi anni fa nelle nostre campagne i bambini maschi usavano portare il buon anno a tutte le famiglie dei propri dintorni ricevendo in cambio denari e zuccherini: cominciavano a far dell’alba, spesso a gruppi, per poter visitare il maggior numero di case possibile e racimolare un gruzzolo consistente.

E l’augurio veniva espresso con una strofetta, diversa a secondo delle località. Eccone una raccolta nella Romagna bassa:

Bon dé, bon an, bona furtona,

int la stala, int e’ stalèt,

int la bisaca de curpèt.

(Buon giorno, buon anno, buona fortuna, nella stalla e nello stabbiuolo, nella tasca del corpetto).

Non mancavano i versi ai contadini oppressi dal padrone:

Bon dé, bon an,

ch’avìva dla furtona par tot l’an

ch’aviva de grèn, de furmintòn,

e pu ch’avìva ch’uv mura e padron!

(Buon giorno, buon anno, abbiate della fortuna per tutto l’anno, abbiate del grano, del formentone, e poi vi muoia il padrone!).

Se poi non ricevevano nulla in cambio delle loro prestazioni, i bambini si allontanavano gridando:

Bon dé, bon an,

ch’uv mura la sumara int e’ capàn!

(Buon giorno, buon anno, che vi muoia la somara nel capanno!).

Abbiamo detto che soltanto i maschietti portavano il buon anno. Infatti le donne evitavano, il primo gennaio, d’andare in casa d’altri, perché avrebbero portato disgrazia e quindi, per prevenire un cattivo inizio dell’anno che avrebbe avuto ripercussioni malefiche su tutto il suo corso, non sarebbero state accolte.

Questa usanza è tuttora osservata presso molte famiglie.

Gramellini, la fine del mondo, gli auguri di Natale

Con la certezza che “Natale” dovrebbe essere tutti i giorni. Auguri da Cristella.

“Fine del mondo” 

(da LA STAMPA del 21 dicembre 2011, “Il Buongiorno” di Massimo Gramellini)

È il 21 dicembre e il mondo finirà fra un anno: minuto più, minuto meno. Considerato l’anno che ci aspetta, potrebbe essere persino un sollievo. Io la scena la immagino così: un ultrasuono che perfora soltanto gli orecchi dei pigri e dei vigliacchi, i quali per la disperazione corrono a sfracellarsi contro un muro invisibile, osservati con vivo stupore dal resto dell’umanità. Mi resta dunque un anno a disposizione per smettere di essere pigro e vigliacco. Per foderarmi gli orecchi con la cera della passione. Cosa si può fare in un anno che non si è fatto mai? Mi vengono in mente solo fantasie musicali. Ballare un tango con i delfini, addormentarsi sopra un organo a canne suonato dal mare (esiste, è in Croazia), ascoltare a palla in un deserto la canzone più straziante della storia, che per un punkettaro impunito come me rimane «My way» nella versione di Sid Vicious.

Però si possono fare cose altrettanto sfiziose a chilometro zero. Per esempio afferrare il tempo, governarne la fluidità e plasmarla ai nostri scopi. Smettere di lamentarsi, di fare le vittime, di aspettarsi dagli altri la soluzione dei nostri problemi. Diventare adulti. Profondi ma leggeri. Voler bene alle persone a cui si è scelto di voler bene. Leggere Charles Dickens o chi volete voi, purché oltre alla tecnica abbia un’anima, oltre al cinismo un sogno. E le vere profezie dei Maya, per scoprire che il 21 dicembre 2012 non finirà un bel niente, semmai comincerà qualcosa. Qualcosa che sarebbe meglio far cominciare già adesso, anche dentro di noi.