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La vera piada sfogliata riminese: Malvina docet

Michele Marziani, esperto di cibi non solo romagnoli, nel suo libro La cucina riminese tra terra e mare” dice di lei: “Tipica dell’area di Rimini e Riccione, è un’ode allo strutto, un inno al palato. Bella, grande, ricca di strutto, è cosa per golosoni e per braccia robuste. Tirarla col matterello non è semplice, ma il risultato è di quelli da grandi occasioni.”
Ma cosa sarà mai questo oggetto del mistero, inno del palato da riservare ai giorni di festa?

Si tratta della piada sfogliata riminese, ormai introvabile se non in qualche casa dove c’è ancora una nonna di buona volontà e di ottima memoria.
Una risorsa così preziosa non manca di certo, nella reggia di Cristella.
Ecco allora giunto il momento di presentare la signora Malvina, la mia suocera riminese doc, nonna sempre attiva e depositaria delle ricette tramandatele negli anni. Le sono state maestre sua nonna Elisa e sua suocera Rosa, arzdore nate verso il 1880-1890.
Quando nonna Malvina decide di regalare la piada sfogliata è festa, in famiglia: non è mica roba di tutti i giorni! Al massimo a Carnevale e forse un’altra volta o due durante l’anno. Perché la preparazione richiede almeno una mezza giornata di lavoro, tanta pazienza e una manualità che ormai s’è perduta.
Dopo lo stretto corteggiamento di nuora e nipote, la nonna ha ceduto e sorride davanti alla videocamera mentre spiega i vari passaggi della ricetta. Fiera di passare i suoi saperi alle due generazioni più giovani della famiglia.
La protagonista di questa sinergia fra donne è quindi lei, l’arzdora Malvina.
Fondamentale, però, anche il ruolo di Dora, la nipote esperta webmaster e studentessa di nuovi media alla Facoltà di Scienze di Tor Vergata. Così come fatto con la prima ricetta (ricordate gli strozzapreti?) che ad oggi è stata visualizzata da quasi 900 persone, Dora partecipa al progetto come regista, filmando il tutto e occupandosi del successivo montaggio e della destinazione finale su Youtube. Nel mezzo, come il prezzemolo, Cristella, nuora di Malvina e mamma di Dora, anello di congiunzione con idea e testi.
Mentre la nonna prepara e spiega, vengono fuori i ricordi di ragazza.
“Sapete? – racconta – Quando mia suocera Rosa negli anni Venti era la cuoca di Villa Ombrosa, la proprietaria, la contessa Gemmamaria, le ordinava le piade sfogliate ogni volta che aveva ospiti con cui voleva fare bella figura.”
Come succede con la preparazione dei cappelletti alla vigilia di Natale, anche con le piade sfogliate la preparazione diventa un rito che unisce buona parte della famiglia. Non si può affrontare l’impresa da sole: bisogna essere almeno in due o tre. Ad ognuna il suo ruolo, magari scambiandolo ogni tanto. Una tira la sfoglia, l’altra l’arrotola e la tira un’altra volta, la terza la cuoce sul testo.
Alla fine, il risultato di questo lavoro d’équipe non può che essere gustoso, a favore di familiari ed amici. Sì, perché oltre che inno alla golosità, come dice Marziani, la piada sfogliata è fatta per la convivialità, per essere mangiata in allegre tavolate riscaldate da buon vino.

Il video, parola di Cristella, stimola le papille gustative. Questo, almeno, è quanto è successo a me in fase di doppiaggio. Sarà perché la visione di tutte quelle piade impilate sul tavolo della cucina mi ha ricordato il profumo di quel giorno d’estate in cui le abbiamo gustate…
Insomma, nel video si vede come si fa e qui di seguito vi scrivo la ricetta. Gli strumenti ora li avete pure voi. Se riuscirete a copiare e cenerete con qualche piada sfogliata vuol dire che siete veramente bravi.
Io, fintanto che ho la Malvina, me la tengo ben stretta. Invidiatemi pure.
Al massimo, potreste provare a farvi invitare direttamente da lei, per la prossima “piadata” di famiglia.
Buon appetito! Ci rivediamo su Youtube alla prossima ricetta romagnola.
Ricetta della piada sfogliata della signora Malvina
Ingredienti per circa 25 piade
1 kg di farina
½ bicchiere di olio extravergine di oliva
1 bicchiere di acqua tiepida
2 cucchiai di sale

1 uovo
strutto di maiale
Preparazione
Impastare farina, uovo, olio, sale, acqua fino ad ottenere un impasto morbido. Farne delle palline della grossezza di un mandarino. Lasciarle riposare, coperte da un panno, per almeno un’ora.
Passato questo tempo tirare le palline col matterello aiutandosi con altro olio. Devono diventare molto sottili. Spalmare ogni piada con lo strutto e arrotolarla su se stessa per ottenerne un rotolo che si chiuderà a forma di chiocciolina. Lasciarla riposare ancora (un’altra ora come minimo), affinché lo strutto, sciogliendosi, “sposi” l’impasto.
Ora è il momento della seconda tirata di matterello.
Anche questa volta ci si aiuta con l’olio, perché la piada deve diventare sottilissima, ancor meglio se con qualche buco.
Una volta pronta, si stacca ogni piada dal tagliere prendendola con le due mani e si posa con delicatezza sul testo (la piastra di ghisa o di terracotta che si usa in Romagna per cuocere la piadina), che deve essere rovente.
Si rigira un paio di volte aiutandosi con un grande coltello a lama piatta.
A differenza della piadina classica, questo tipo di piada durante la cottura non va punzecchiata.
La piada sfogliata è buona anche da sola, ma per una cena da non dimenticare andrebbe accompagnata con formaggi morbidi (tipo stracchino e squacquerone) e con affettati misti.
Obbligatorio, non solo consigliato, un buon vino. Sangiovese, naturalmente.
Buon appetito!

La canapa dei telai e delle mamme

Questa la voglio raccontare.

Quando, nel 1999, uscì il mio libro Trama e ordito, mamme che tessono la vita feci un battage pubblicitario che mi costò molte energie. Si sa, l’editoria locale è tale solo di nome: nei fatti gli autori, più o meno importanti, più o meno validi, si devono autogestire e darsi da fare, anche finanziariamente. Ma questo è un discorso che approfondiremo in altra occasione.
Torniamo a Trama e ordito: è un omaggio al lavoro delle donne delle generazioni precedenti alla mia sviluppato indagando la tradizione della coltivazione casalinga della pianta di canapa per ottenerne la fibra da filare e tessere.

Il libro è piaciuto e a livello locale (tenendo presente l’autogestione di cui sopra) è stato un piccolo successo. Tanto che è finito anche su Internet, elencato in un sito che raccoglie tutti i “Libri sulla canapa” (Maria compresa!).

Immaginate il mio imbarazzo quando mi telefonarono, da Roma, degli ufficiali della Polizia di Stato che mi chiedevano una copia – questa la scusa – per farne una recensione da pubblicare sulla loro rivista!
Devono aver verificato subito che la “mia” canapa era davvero innocua! La recensione dei poliziotti, per la cronaca, non l’ho mai vista…
Chissà se anche a Gambettola, nel prossimo fine settimna, ci saranno agenti a controllare: io, comunque, ci sarò. Il 17 e il 18 novembre nella cittadina da cui proviene la mia famiglia, a pochi chilometri da Cesena, si tiene infatti l’Antica Fiera della Canapa. Il programma è molto ricco e interessante.
Fra le altre cose sono previste dimostrazioni pratiche su antichi telai dove i bambini delle elementari mostreranno quanto ha insegnato loro un’ex bidella nel laboratorio di tessitura che la scuola organizza da diversi anni. La signora è un’esperta tessitrice, oggi bisnonna, che negli anni ’40, guarda caso, è stata allieva di mamma Pierina, protagonista di Trama e ordito.
La Fiera di Gambettola, per chi comprende il valore delle fatiche dei nostri padri (e delle nostre madri) è un appuntamento da non perdere.

Renato, poeta sempre giovane

In casa di Cristella, questa sera, un po’ di sano romanticismo con “zio Renato” (al secolo Renato Piccioni), poeta riminese che ha superato la soglia degli ottanta con piglio da ragazzino.
Autore di diverse pubblicazioni in prosa e in versi, da sempre molto attivo nell’organizzazione di eventi culturali ed artistici, Piccioni è stato attore di teatro nonché presentatore televisivo e radiofonico.

E’ presidente dell’Accademia Culturale Le Tre Castella di San Marino.
Arricchisco questo mio blog con una delle più belle poesie d’amore uscite dalla sua penna.

Perché parole?

Perché parole

se una carezza parla per me.

Perché parole

se uno sguardo parla per me.

Perché parole

se un bacio parla per me.

Ecco allora nel silenzio

il mio guardarti che dice t’amo,

il mio bacio tenero per dirti che ti amo,

una carezza come poche, dolce,

per dirti che ti amo.

Poi lo griderò al mondo,

alle stelle ed al sole,

alla foresta ed al deserto,

agli oceani ed alle montagne,

perché tutti sappiano

che t’amo fino alla follia

che solo l’amore dà

a chi dell’amore fa

suo scopo nella vita.

Renato Piccioni

Il mio futuro? Al centro della circolazione “a stanze”…

Dopo favole, sospiri, preghiere e poesie, è tempo che Cristella apra gli occhi sulla realtà.

Spazio, dunque, al pragmatismo più attuale. Dal privato più privato, passiamo a qualcosa di pubblico-privato.
E’ passata. Con un “sì condizionato”, ma è passata.
Lunedì sera il Consiglio di Circoscrizione del Quartiere 5 (a maggioranza) ha dato l’ok alla variante dell’ex Corderia di cui si sta discutendo animosamente da diverso tempo e di cui ho già scritto in precedenza (post 1, post 2).
Ribadendo che il PRG approvato nel 1994 e ratificato successivamente dal Consiglio Comunale di Rimini è intoccabile e che i privati hanno acquisito sacrosanti diritti giuridici, i tre assessori comunali intervenuti (Paola Taddei, Antonio Gamberini, Andrea Zanzini) hanno tessuto le lodi di quanto fatto dall’Amministrazione in questi anni. Come poteva essere altrimenti?
“Prima le case, poi le strade.” Questo è l’imperativo a cui i riminesi sono stati abituati (la via Sozzi è ancora lì che attende, per citare solo un caso che vedo dalla finestra).
Questa volta si parla di strade da sistemare in contemporanea, se non prima, dell’intervento edificatorio. Almeno è in tal senso che è stata vincolata la società proprietaria del terreno, che a quanto pare sta agendo con spirito collaborativo. Vedremo.
Comunque, a proposito di strade, il dirigente alla mobilità, ingegner Totti, lunedì ha illustrato il suo progetto di viabilità per tutta la “zona ampia” che comprende “anche” la Corderia.
Eh, sì, perché qui si parla pure della via Beltramini diventata quasi un’autostrada, del mega-Peep non ancora terminato, del polo scolastico (con asilo nido, materna, elementari, medie, due istituti superiori già presenti e un altro in costruzione) e… di casa mia.
Mi ci troverò giusto in mezzo – accanto ad una nuova rotatoria che sarà un grande punto di snodo – a quella che Totti definisce “circolazione a stanze”: senso unico in direzione monte-mare su via Marconi (con pista ciclabile e senza sacrificare i 96 platani secolari) e il cosiddetto “anello” delle vie Beltramini, Sacramora, Amati, Fattori, Popilia.
Da un calcolo approssimativo che ho curato per il settimanale Il Ponte (articolo che sarà sul numero in edicola fra tre giorni), vien fuori che nella mia zona fra qualche anno ci saranno almeno 1.500 appartamenti in più (calcolo sicuramente sottostimato), a cui vanno aggiunti i piccoli e grandi insediamenti direzionali e commerciali previsti dalle varie schede del PRG.
Quante automobili in più porterà questa trasformazione? Quanti bambini che dovranno andare a scuola, quanti anziani che non sanno dove passare il tempo e rischiano la vita ogni volta che scendono in strada? Insomma, quale sarà la qualità di vita del “dormitorio viserbese”?
Un lumicino di speranza, però, me l’ha acceso lunedì l’assessore.
“Su viabilità e ambiente abbiamo recepito le critiche e i suggerimenti del Quartiere – ha affermato Gamberini – Alla Corderia faremo uno degli interventi di maggiore qualità, su ambiente e viabilità, che la città di Rimini abbia mai avuto.”
Beh, i casi sono due: o comincio già a ristrutturare casa, prevedendo di poter stare poco tempo in giardino a causa dello smog ed installando doppi vetri antirumore (e dunque impianti di aria condizionata che ancora non ho perché ritengo danneggino l’ambiente), oppure… mi faccio regalare dal marito un bell’appartamento nuovo dentro l’area dell’ex Corderia.
Lì, almeno, l’ambiente è salvaguardato. Me l’ha detto l’assessore.

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Ma tu, sogni in italiano o in dialetto?

C’è un buon motivo, se già dall’inizio nel mio sito ho inserito le sezioni Dialetto e Tradizioni.
Sono nata in campagna, a Sala di Cesenatico. Per i primi tre/quattro anni della mia vita ho sentito parlare unicamente il dialetto e di conseguenza ho balbettato le prime parole in questa lingua: sì, sono nata dialettofona.
Poi, col trasferimento al mare (erano i tempi del boom economico, primi anni Sessanta, quando con qualche cambiale ci si poteva lanciare nell’avventura ed iniziare a tirar su una pensioncina) ai miei genitori venne detto che non andava proprio bene che una bimbetta parlasse in dialetto: bisognava iniziare ad insegnarle l’italiano.

Immagino la loro fatica. In pratica, in casa si incominciarono ad usare due lingue: l’italiano con me – la piccola da affrancare dalla campagna – e il dialetto con gli altri figli.
Teresa, Tiziana e Domenico, di qualche anno più grandi di me, sono stati dunque salvati dal dato anagrafico. Un’abitudine, quella della doppia lingua, mantenuta poi per tutta la loro vita. Che fortuna: una mamma e un babbo poliglotti (e bravi)!
Le mie sorelle e mio fratello si sono sempre rivolti loro in dialetto, dando del “voi”, perché così si usava.
Mà, av voj bén”: sembra strano, vero, che un uomo di quasi sessant’anni si rivolga con questa frase (“mamma vi voglio bene”) alla vecchietta ormai sfinita stesa nel letto d’ospedale? Non era un “voi” distante. Era caldo, abbracciava.
E valeva di sicuro molto più di quel freddo “tu”, che sarebbe stato in una lingua straniera, non loro.
Quando mi imbatto in una canzone, un testo teatrale o, semplicemente, un dialogo privato nella lingua dei miei genitori, sento qualcosa che si muove dentro, che si apre. Una sensazione simile a quella che provo quando ascolto certe composizioni di Mozart, non so perché…
Il dialetto, lingua orale, muore.
Muore con i vecchi.
Muore nel momento in cui se ne vanno coloro che “sognano in dialetto” (a dirla con Gianfranco Miro Gori, il sindaco-poeta di San Mauro Pascoli).
E allora, cosa si può fare?
Qualcosa in provincia di Rimini si muove: nei giorni scorsi, ad esempio, è stato presentato il progetto “In viaggio con il dialetto!”. Si tratta di itinerari didattici per i ragazzi delle scuole della Valconca e della Valmarecchia, coordinati e condotti da Gabriele Bianchini e Vincenzo Sanchini.
Iniziativa encomiabile, anche se la sempre più alta presenza di ragazzi stranieri nelle nostre aule mi fa pensare che sia già troppo tardi, che progetti di questo tipo si dovevano fare dieci-quindici anni fa.
Anche il poeta milanese Franco Loi esprime i suoi dubbi sul dialetto nelle scuole: in proposito vi invito a leggere un suo interessante articolo (pubblicato su Il Sole 24 Ore), che ho trascritto qui.

E adès, av salut!


Ah, e se proprio volete sapere in quali panni mi sento più a mio agio quand a scor in dialèt, guardate qui

[tags] dialetto, tradizioni[/tags]