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Il Bar Dancing Sacramora nei ricordi di Malvina Tamburini

“Avevamo messo molti tavolini attorno al bar e avevamo uno dei primi televisori. Quando trasmettevano  ‘Lascia o raddoppia’ la gente di Viserba veniva da noi portandosi le sedie da casa!”

La pista da ballo del Dancing Sacramora


La signora Malvina Tamburini ricorda con un pizzico di nostalgia il periodo in cui gestiva il “Bar Dancing Sacramora”, all’interno del parco creato attorno alla pozza da cui sgorgava la famosa sorgente di acqua cristallina.

“Nel ‘49/50 la sorgente, anche se già famosa e frequentata, era un ‘coppo’ nel terreno che, allora, era di proprietà della famiglia Sarti (commercianti di stoffe in piazza Tre Martiri, dove oggi c’è il negozio Max Mara). In quegli anni i Sarti diedero in affitto questo appezzamento alla mia famiglia, che arrivava da Bellariva, come orto. Poco dopo il terreno venne acquistato da Cottarelli, un ricco medico milanese  che aveva un grande albergo a Riccione. Lui e sua moglie nel 1954 tennero a battesimo il mio primogenito, Paolo. Grande spirito imprenditoriale, il suo! Fu lui, vedendo quanta gente veniva a berla, ad avere l’idea di sfruttare l’acqua della Sacramora per l’imbottigliamento e il successivo commercio. Già a quei tempi pensava anche alla trasformazione di Viserba in stazione termale, ma le sue idee non vennero mai condivise dalle pubbliche amministrazioni a cui lui presentava i suoi progetti e neppure dai proprietari dei terreni che avrebbe voluto acquistare per realizzare il suo sogno. Il primo stabilimento aveva come unica operaia mia sorella Maria, mentre mio padre, già affittuario come ortolano, divenne il custode-factotum. C’era anche la Giuseppina Sarti, appena diciottenne, che faceva la contabile.”

La giovane Malvina Tamburini beve alla 'sua' Fonte

L’industria dell’imbottigliamento ebbe successo, tanto che pochi anni dopo, durante l’estate, vi lavoravano anche quindici persone.

“Cottarelli sostenne e incentivò la costruzione di un bar con annessa pista da ballo, che mi concesse poi in gestione – continua Malvina – A dire il vero lavorammo di badile io, mia sorella e una cameriera che avevo assunto, proveniente dalle campagne ravennati. Da sole abbiamo riempito con la terra i due fossi che c’erano (ci si pescavano le sanguisughe, che vendevamo alle farmacie). Poi abbiamo costruito un chiosco, la pista da ballo, la fontana rotonda sotto i salici piangenti. Un posto molto bello!”

Erano gli anni in cui spopolavano le orchestre, si ballava tutte le sere, la gente veniva appositamente a Viserba anche da lontano.

Il custode Augusto Tamburini inizia la costruzione del muretto della Fonte

“Avevamo due o tre camerieri. Non erano stipendiati, ma si tenevano le mance. Con questo sistema guadagnavano molto bene! Un’estate venne persino Adriano Celentano a cantare alla Sacramora! Il bar lo aprivamo molto presto, al mattino, perché c’era molta gente che veniva da Rimini per bere l’acqua. Ricordo i festeggiamenti del Millenario, nel 1957, con tantissime personalità. Venne inaugurato il bassorilievo e il dottor Cottarelli firmò pubblicamente, applaudito da tutti, un documento in cui si impegnava a permettere ai cittadini riminesi di attingere l’acqua della Sacramora nonostante lui avesse avuto la concessione di sfruttamento minerario per l’imbottigliamento. Poco dopo Cottarelli vendette ai Savioli, che trasferirono lo stabilimento più su, verso monte. Il bar l’ho gestito fino al 1958. Dopo di me l’ha avuto un altro gestore per una stagione. Poi basta. Un’avventura conclusa. Ci sono diverse cartoline che testimoniano quel periodo: le avevamo fatte stampare io e mio marito Guido. La didascalia recita: ‘Viserba, Fonte Romana Sacramora’. Sì, direi proprio che non salvaguardando e valorizzando questo luogo come meritava e come Cottarelli, nella sua lungimiranza, aveva sperato, Viserba ha perso una grande occasione!”

Intervista inviata anche all‘Associazione Ippocampo

Col caldo l’Ippocampo va in piazza

Con il caldo di questi giorni la pressione è in calo… Cristella è decisamente spompata e una rumorosa caduta in bicicletta sulla passeggiata viserbese della Notte Rosa, ieri sera, ne è la prova. Nulla di rotto, pare, ma constatazione certa di essere leggermente… stressata, anche perché le varie attività (lavoro, volontariato, associazionismo, famiglia) impegnano comunque.

Ora che mi sono scusata per la “pigrizia”, prendo in prestito da Marzia il suo post sulla prima serata pubblica della nostra nuova associazione, l’Ippocampo.  Vi aspettiamo a Viserba in piazza ogni martedì sera, oppure sul sito www.ippocampoviserba.it

Chi contribuirà alla mia pensione? (se mai ci andrò)

da www.diversamenteoccupati.it

Della serie: “sorrisi a denti stretti”…

Dal blog di Arnald “Diversamente occupati”

Vittorio: la voce del turismo viserbese

C’era una volta, a Viserba… the voice, “la voce dell’estate”.

Vittorio Corcelli è un mio concittadino di ottantadue anni che, nonostante l’età, affronta la vita con spirito giovane e dinamico. Da sempre uomo di spettacolo, ha calcato palcoscenici di teatro, set cinematografici, diretto locali da ballo e cantato in tutto il mondo con la sua avvolgente voce “all’americana”. E’ stato attore in diversi film: “Rimini Rimini”,  “Il mestiere delle armi”, “Il bambino sull’acqua” sono alcuni dei titoli più importanti. L’ultimo lavoro nel settore è un telefilm girato due mesi fa a Cervia, che andrà in onda su Sky.

Proprio questa sera, nell’ambito del decimo Festival Internazionale del Jazz tradizionale e Swing che si tiene in piazzale Fellini, a Rimini, Vittorio regalerà un cammeo insieme alla Ambassador Band, dove suona il figlio Luciano (tra l’altro, mio compagno di scuola, trentacinque anni fa).

Molti conoscono la voce di Vittorio, forse senza saperlo. Mi spiego: avete presente gli annunci che, due volte al giorno, vengono diffusi dagli altoparlanti delle nostre spiagge? “Benvenuti a tutti gli ospiti! Ecco a voi gli spettacoli di questa sera a Viserba, Viserbella, Torre Pedrera!”, seguiti dalla pubblicità e dagli immancabili “E’ stato smarrito un bambino di tre anni, indossa un costume giallo. Chi lo trovasse è pregato di accompagnarlo dal bagnino numero diciotto o di telefonare…”

Ecco, Vittorio è stato la voce del Fono Nord Ovest, che trasmetteva proprio da Viserba, per “appena” 35 anni.

“Sono stato la voce del turismo viserbese – ci ha detto con orgoglio due settimane fa, durante l’intervista registrata per l’associazione L’Ippocampo – Tutto rigorosamente in diretta. Con cambiamenti epocali, nell’arco di quasi quattro decenni!”

Cos’è cambiato, vi chiederete?

“Col passare del tempo sono diminuiti gli smarrimenti dei bambini e… sono aumentati quelli degli anziani!”

L’oro dei campi in giugno

Chi nasce in giugno probabilmente porta nel dna i colori del sole e il soffio del vento.

L’oro dei campi in queste giornate che non sembrano finire attira Cristella come fosse di calamita, così come il vento ascoltato e “sentito”, oggi, sotto l’ombra del grande pioppo, accanto alla Sorgente Sacramora.

Sono passati quasi 52 anni: nascere in campagna in questo periodo voleva dire, per un bimbo, trovarsi un piccolo spazio fra mille lavori dettati dalla stagione.

Uno di questi era la battitura del grano. Non avendo più a disposizione le preziose memorie dei genitori, provo a ricreare l’atmosfera di quella sera di giugno, quando Pierina dovette fermarsi, dopo un pomeriggio passato al caldo a raccogliere i fagioli, per dare alla luce la sottoscritta.

LA BATDURA (la battitura)

da “Romagna e civiltà” di Gianni Quondamatteo e Giuseppe Bellosi, Grafiche Galeati – Imola, 1977.

Ancora negli ultimi decenni dell’Ottocento il grano veniva battuto con la pietra: questa era di sasso, di forma appiattita, grosso modo triangolare, con un vertice arrotondato, fornito di un foro attraverso il quale passava un palo, sporgente dalle due facce: alla sua parte inferiore veniva fissato il timone mobile (la zérla), al quale si aggiogavano le bestie, a quella superiore si teneva stretto l’uomo che stava seduto sulla pietra come zavorra. Perché il timone potesse muoversi bene, o, come dicevano i contadini, potesse avé un pò ad zugh (aver  un po’ di gioco), la pietra aveva un’incavatura nella faccia inferiore, nella posizione del timone.

Il lato opposto al vertice, quello che strisciava sul grano, aveva delle scanalature orizzontali (nel senso della larghezza), che facilitavano la trebbiatura: la pietra infatti, strisciando sul grano, faceva uscire i chicchi che si incanalavano nelle scanalature e così non si sbriciolavano. Ovviamente se le scanalature fossero state verticali, cioè lungo la direzione del movimento, le spighe ci si sarebbero infilate dentro, senza che i chicchi uscissero.

Una pietra pesava in media dai due ai tre quintali ed era generalmente trascinata da due vacche o cavalli o asini.

Prima di battere, Continua a leggere