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Nuove regole di buona scrittura. Per ridere un po’

Lo so, lo so, ogni tanto vesto i panni della “Maestrina dalla penna rossa”: quando si tratta di segnalare refusi ed errori di ortografia fatti dagli altri sono eccessivamente pignola, rischiando spesso di non accorgermi delle sviste mie…
Queste frequenti inesattezze sulla carta stampata sono dovute anche al fatto che nelle redazioni dei giornali non lavorano più i cari e precisi correttori di bozze di una volta. Ora tutto è affidato alla tecnologia, che ragiona a modo suo.

Tanti errori, anche quelli in cui inciampano i comunicati ufficiali di enti e amministrazioni, sono spesso figli del correttore automatico di word.

Un esempio personale? Il mio cognome ogni tanto diventa un rassicurante Cuccioli, mentre Viserba, la cittadina in cui abito, viene velocemente convertita in Riserba.
Per restare in tema, oggi un quotidiano locale titola così: “Alcol vietato. Lombardi spinge la Regione ha impugnare la legge”.

Io avrei scritto “alcool” e “a impugnare”. Sulla prima correzione (la doppia “o”) forse sono ammissibili le due versioni. Sull’acca di troppo, invece, direi che l’errore è proprio grave!

E’ pur vero che per i quotidiani l’elemento “fretta” gioca il suo ruolo: scrivi adesso e fra due ore è già tutto stampato in qualche migliaia di copie, che fra otto ore saranno sui camioncini dei consegnatari e fra dieci sui banchi delle edicole. E chi corregge più?

Col blog, invece, se ti accorgi di aver sbagliato puoi sempre porre rimedio, magari dopo qualche giorno.
Per questo motivo ho ricontrollato – prima, dopo e dopo ancora – un nuovo arrivato in rete che era stato segnalato dall’amica blogger. Mi sono trattenuta dal lasciare un commentino velenoso (“Meglio ignorare”, ho pensato). Però, fa un brutto effetto, quando apri l’home page di uno che si presenta come giornalista di lungo corso e collaboratore di quotidiani a tiratura nazionale e ci trovi scritto, in bell’evidenza: “Un’altro blog? Il perchè.”
Passi per quell’accento grave che andrebbe immediatamente sostituito (e qui il correttore automatico aiuterebbe), ma l’apostrofo! La “Maestrina dalla penna rossa” lo boccerebbe di corsa, questo scolaretto!
… e gli farebbe studiare a memoria le regole di buona scrittura che ho copiato da un’altro blog (acc… è scappato un’apostrofo – anzi due – purammé!).
Alcune regole di buona scrittura


1) I verbi avrebbero da essere corretti
2) Le preposizioni non sono parole da concludere una frase con
3) E non iniziate mai una frase con una congiunzione
4) Evitate le metafore, sono come i cavoli a merenda
5) Inoltre, troppe precisazioni, a volte, possono anche, eventualmente, appesantire il discorso
6) Le indicazioni tra parentesi (per quanto rilevanti) sono (quasi sempre) inutili
7) Siate press’a poco precisi
8) Attenti alle ripetizioni, le ripetizioni vanno sempre evitate
9) Non lasciate mai le frasi in sospeso perché non
10) Evitate sempre l’uso di termini stranieri, soprattutto sul Web
11) Siate sintetici: cercate di evitare di cadere nell’errore di abbondare nell’utilizzo di vocaboli tronfi ed espressioni ridondanti, ovvero in tautologismi generalmente destinati a rivelarsi superflui
12) Evitate le abbreviaz. incomprens.
13) Mai frasi senza verbi.
14) I confronti vanno evitati come i cliché
15) Evitate le virgole, che, non, sono necessarie
16) Non usare paroloni a sproposito: far ciò è come commettere un genocidio
17) Imparate qual’e’ il posto giusto in cui mettere l’apostrofo
19) “Non usate citazioni”, come diceva il mio professore
20) Evitate il turpiloquio, soprattutto se non serve ad un cazzo
21) C’e’ veramente bisogno delle domande retoriche?
22) Come vi avranno già detto centinaia di milioni di miliardi di volte, non esagerate
23) Solitamente, non bisogna mai generalizzare

Siamo agli sgoccioli. A che santo ci votiamo?

E’ notizia di ieri.
Il presidente della Provincia di Rimini, Ferdinando Fabbri, lancia un appello ai cittadini affinché si risparmi acqua.
“Siamo agli sgoccioli”, titolano i giornali.
Non sono bastate le restrizioni e i divieti in vigore dall’estate scorsa (fontane chiuse, divieto di annaffiare orti e giardini e di lavare le auto in certi orari…). Non sono bastate le poche giornate di pioggia. La siccità degli ultimi mesi ha messo in ginocchio più di un settore, agricoltura in primis. Le falde sotterranee sono ai minimi storici, come gli invasi che alimentano gli acquedotti.
In poche parole: se nulla cambia, fra una quindicina di giorni Rimini si troverà coi rubinetti asciutti.
Mentre mi chiedo se sia meglio continuare a lavare i piatti a mano o investire mezzo stipendio per acquistare la lavastoviglie (una recente pubblicità invita tutte le famiglie a comprare questo elettrodomestico, descritto come oggetto di cui non si può fare più a meno…), bagno quei due sparuti gerani che ho sul balcone con l’acqua rimasta dal lavaggio dell’insalata, chiudo il rubinetto mentre uso lo spazzolino da denti, preferisco la doccia alla vasca da bagno…

Insomma, per quanto riguarda le piccole abitudini quotidiane, penso di avere la coscienza a posto.
Non so, però, cosa potrà succedere se davvero dai rubinetti non uscirà più una goccia.
Ma la curiosità social-storico-politica che volevo segnalare col post di oggi è che Fabbri, “The President”, ha anche chiesto al vescovo Lambiasi di informare la cittadinanza tramite le parrocchie.
“Forse questa potrà apparire a qualcuno un’iniziativa strana, insolita – ha detto – ma in un momento così critico e difficile per la nostra comunità ci sembra opportuno cercare di sensibilizzare tutti i riminesi. Il vescovo ha capito perfettamente la situazione e si è immediatamente mobilitato”.
Oltre che invitare i fedeli a seguire i consigli di risparmio idrico, monsignor Lambiasi ha deciso di esortarli a formulare un’intenzione di preghiera, nelle Messe di oggi e del prossimo futuro, che suona così: “Perché il Signore doni alla terra assetata il refrigerio della pioggia, perché l’umanità, sicura del suo pane, possa ricercare con fiducia i beni dello spirito”.

E domani, lunedì 22 ottobre, durante una funzione appositamente celebrata il vescovo rinnoverà un rito di “invocazione della pioggia” che a Rimini è storicamente radicato.

Non so quando è successo l’ultima volta, ammetto la mia ignoranza: ci vorrebbe una consulenza dell’amico blogger Antonio, esperto di cose riminesi.
Comunque, la celebrazione sarà all’interno del capolavoro di Leon Battista Alberti, il Tempio fatto costruire nel Cinquecento da Sigismondo Pandolfo Malatesta per celebrare sé stesso. Nella prima cappella a sinistra, appena dopo l’ingresso, si trova la “Beata Maria Vergine della Pietà”, nota ai riminesi come “Madonna dell’Acqua”, che più di una volta mi sono fermata ad ammirare e che per l’occasione verrà portata accanto all’altar maggiore, sotto lo sguardo del Crocifisso di Giotto.

Si tratta di una graziosa scultura dei primi del ‘400 di scuola tedesca che nei secoli passati veniva invocata dal popolo in tempi di siccità o di piogge troppo abbondanti.

Ricordo anche di aver letto di una rivolta popolare quando si vietò una processione che i fedeli volevano fare per le vie della città per invocare la pioggia. Per evitare uno scontro violento fra le diverse fazioni (i potenti e il popolino) si arrivò ad un compromesso: la Madonna della Pietà venne portata in processione in un percorso ben delimitato, nelle strade attorno al Tempio. Mi pare che, poi, la pioggia arrivò davvero.
Mentre segnalo questa curiosa “commistione” fra sacro e profano che si ripete nel 2007 e che comunque, pioggia o non pioggia, farà conoscere ai riminesi un pezzettino della loro storia (il che non guasta mai), più pragmaticamente e riallacciandomi ai precedenti post sulla cementificazione selvaggia di alcune zone mi viene spontanea una considerazione: “Ma se anche piovesse a dirotto per tre giorni di fila, dov’è rimasto del terreno libero da costruzioni dove l’acqua possa infiltrarsi ed andare giù, a rimboccare le falde sotterranee?”  
Vedo che ogni volta che fa un acquazzone le strade diventano torrenti e le cantine delle case si allagano.
Non è che, oltre alla Beata Vergine dell’Acqua, bisogna accendere un cero agli uomini che stanno contribuendo al dissesto del territorio?
Basta! Fermatevi!

O che bel mestiere, fare il favoliere…

Una, dieci, cento favole per Gramos, con l’augurio che la sua abbia un lieto fine.

La rete, si sa, porta lontano. Entri in un sito (o in un blog) che ti invita ad accedere ad un altro, che ti linka a destra, che ti rimanda a sinistra, sù, giù, di là, di qua.

Insomma, i navigatori sanno da dove salpano, ma mai dove approdano.

E’ capitato così: non so più per quale strada, ma un mesetto fa sono arrivata al blog Balene Bianche di Sabrina Campolongo. Mi è risultata simpatica già per le prime righe della sua presentazione (“Scrivo e vivo. O vivo e scrivo. Vale la proprietà commutativa. Una cosa non esclude l’altra.”). Sabrina ha avuto l’idea di aiutare Gramos, un ragazzino kosovaro di 12 anni che per una grave malattia ha bisogno di costosissime cure, regalandogli delle favole. Non libri già confezionati (che sarebbe così facile e veloce!), ma storie nostre, scritte per lui.

I blogger hanno risposto con entusiasmo, me compresa.

A dire il vero, ho adattato una favola già pronta, ancora inedita, che avevo scritto per l’Istituto Oncologico Romagnolo e letto ai bambini riminesi nella piazza centrale della città mentre vestivo i caldi panni della Befana.

“La Befana e la coperta che scioglie il ghiaccio”, che in versione originale potete leggere qui (nella sezione Libri di Cristella.it) insieme ad alcune altre favole scelte, è stata ritenuta adatta dalla giuria a venire pubblicata in un volume che sarà venduto in tutta Italia. I proventi serviranno ad aiutare Gramos.

La notizia della mia “vittoria” è arrivata via mail lunedì scorso, in una giornata funestata da temporali e tempeste, dove il sole che di solito brilla sul regno di Regina Cristella era coperto da nuvoloni neri.

Ecco, come mi è capitato spesso, nei momenti più tristi arriva qualcosa che non aspettavo (una notizia, una persona, un sorriso), che soffia via le nuvole in un battibaleno… Ancora una volta, forse, il mio Angelo Custode (mamma Pierina) ha manovrato i suoi invisibili fili.

Così, la bella Sabrina, il piccolo Gramos, gli altri scrittori scelti (anche famosi, eh! guardate qui la lista…) entrano di diritto nella “favola di Cristella”. 

Dove la parola “fine”, volutamente, non è stata scritta.

Quando il libro sarà pubblicato, lo farò sapere via blog. Dovrà partire una nuova catena fra gli amici di Cristella e di Gramos.

A m’arcmand!

I vostri figli non sono figli vostri

Oggi, adesso, così. Lacrime da nascondere dietro un sorriso. Sapendo che poi, per forza, deve passare.

Mamme come me. Che amano e che condividono.

Che cuciono e rammendano dove qualcun altro maldestramente strappa. Con fili sottilissimi, invisibili, costruiti con infinita pazienza. Che tessono forti trame su orditi sempre più delicati e fragili.

Dedico questa poesia di Kahlil Gibran alle principesse Dora e Cinzia. E a Paolo, il Re consorte di Cristella, Regina di Sacrabionda.

I vostri figli non sono figli vostri.

E una donna che reggeva un bimbo al seno disse, Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso voi ma non da voi,
e sebbene siano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro il vostro amore ma non i vostri pensieri.
Poiché hanno pensieri loro propri.
Potete dare rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime,
giacché le loro anime albergano nella casa di domani,
che voi non potete visitare neppure in sogno.
Potete tentare d’esser come loro, ma non di renderli
come voi siete.
Giacché la vita non indietreggia né s’attarda sul passato.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli,
viventi frecce, sono scoccati innanzi.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e vi tende con la sua potenza affinché le sue frecce possano
andare veloci e lontano.
Sia gioioso il vostro tendervi nella mano dell’Arciere;
poiché se ama il dardo sfrecciante,
così ama l’arco che saldo rimane.

[tags] Gibran Kahlil, figli, poesia[/tags]

Principesse, preti e… santini

Della mia amica blogger Marina Garaventa, alias La Principessa sul Pisello, ho già scritto qui. Curiosando nel suo archivio, sono rimasta colpita da due post in particolare. Ne ho parlato con don Piergiorgio, il sacerdote che mi è stato maestro di scrittura e giornalismo e che collabora al sito di Cristella con la rubrica Lettera 22. Gli ho chiesto un commento “da prete”.

Poteva dirmi no? Quando gli si chiede qualcosa di scritto, lui va a nozze (si può dire, di un prete?). Ha risposto a stretto giro di fax (il computer, per lui, è off limits).

Riepiloghiamo.

Le tappe per comprendere il senso del mio post di oggi sono le seguenti: prima di tutto leggetevi Santini & C. numero 1, poi Santini & C. numero 2.

Già così ne avete abbastanza per meditare sui vostri piccoli dolori, vero?

Sorridete un attimo, però, perché la Principessa è ricca di ironia e solarità, come avrete appurato leggendo i suoi post. Ecco, adesso, vi lascio leggere cosa ne pensa il mio sacerdote preferito, che si fa riconoscere già dal titolo.

Primo comandamento: rivolta il calzino.

Ognuno di noi inevitabilmente si porta appresso le sue deformazioni professionali o culturali. Parlando in chiave positiva, vede e giudica il mondo a partire dalla sua prospettiva.
Subito, per amore di onestà, confesso candidamente di essere un prete.

Incontrandosi con l’ottica e lo spirito vitale di Marina sarebbe facile per un membro del clero formulare un analogo giudizio: ” Molto interessante, però Marina non lavora per gli interessi del ‘partito’! Per questo prudentemente è da tenere alla larga.”

Sono disposto a comprendere tale reazione. Ma non è la mia!

Tale posizione all’apparenza controcorrente non mi nasce per il fatto di essere più intelligente o comprensivo degli altri.

Più semplicemente, cerco di essere discepolo di Gesù che, fra l’altro, dai suoi nemici “buoni” era accusato d’essere “mangione e beone, amico dei pubblicani, dei peccatori e delle prostitute”.

Ci sarà pure una base di verità storica in queste pesanti accuse?

Il nodo da mettere a fuoco in questo problema si concentra in un principio dello stesso Gesù: “Non chi dice Signore! Signore! (cioè è ortodosso) entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la Volontà del Padre Mio che è nei Cieli.” Tradotto in termini teorici, anche se un po’ difficili, l’ortoprassi (il corretto modo d’agire) viene prima dell’ortodossia.

Sull’ortoprassi di Marina avete forse qualcosa da ridire?

Sta facendo il suo cammino, che inevitabilmente ha le sue tappe ed i suoi momenti. Però è un dato certo, che cammina!

Qui sono tentato di aprire un altro discorso per me – e non solo – molto importante.

Se non ricordo male, mi sembra che un giorno Gesù sia uscito con questa affermazione: “Non gettate le perle ai porci!” In altri termini: “Non buttatele via!”

Chi lo fa è spinto dal peccato di non riconoscerle come tali.

Noi, nella Chiesa – se siamo rigidamente confessionali – dividiamo il mondo in due settori incomunicabili: ci siamo noi – che siamo i buoni (vedi “farisei”) – ed il resto dell’umanità è tutto cattivo.

Con questa prospettiva, falsamente dogmatica, l’invito del Concilio (“leggere i segni dei tempi”) facilmente finisce nel cestino dei rifiuti.

[tags] chiesa, comandamenti, principessa[/tags]