Un tuffo nella lingua madre, che fa bene al cuore e alla pancia.
Dopo un pomeriggio di calore familiare con un folto gruppo di rappresentanti della Tenera Età (più di sessanta!) al primo compleanno degli incontri organizzati settimanalmente all’Oratorio Marvelli di Viserba Mare, sento l’esigenza di cercare fra le pagine del Dizionario Romagnolo Ragionato di Quondamatteo alcune delle parole “intraducibili” che ogni tanto fanno capolino nella mia memoria.
La prima, “savarnèda”, non è mai stata diretta a me, ma l’ho sentita più volte come minaccia a qualcun altro: “at dàg ‘na savarnèda ad bòti!” oppure “l’à ciapè ‘na savarnèda” ad bòti“. Il Dizionario recita: “colpo violento, percossa. Dù savarnèdi. Ho ciap na savarnèda ch’à sò arvènz intramurtìd“.
La radanèda, invece, è l’aggiustatura, la rabberciata. Dat ‘na radanèda! datti un’aggiustata, mettiti in ordine! Radàna c’la cambra! Riordina quella camera!
Rungaja, mar.: pesce piccolo, misto, messo insieme, talora, con pesce ‘buono’ rovinato, morsicato nel travaglio della pesca; pesce da poveri, quindi: Ho tòlt mèz chel d’rungaja (ho comprato mezzo chilo di rungaia). Fig: si dice per bambini piccoli, gente di poco conto: cus èl sta rungaja! (cos’è questa rungaia?)
Quindi, morale della questione: par dè ‘na radanèda ma tòta c’la rungaja, u i vréb ‘na savarnèda ad bès 🙂
T’è capì?