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Viserba, il delitto Pascoli e Pajarèn (detto Bigecca)

“Primo verdetto di colpevolezza dopo 145 anni per l’omicidio di Ruggero Pascoli, il padre del poeta. E’ stato rovesciato il verdetto del 2001: per la prima volta il celebre omicidio Pascoli ha tre nomi: Pietro Cacciaguerra, mandante, Michele Della Rocca e Luigi Pagliarani, esecutori…”

E’ cronaca di questi giorni. Il tribunale, dopo 145 anni, ha finalmente condannato coloro che, al tempo, furono solo sospettati.

Una storia, il delitto Pascoli, che s’intreccia in varia maniera con quella di Viserba.

Il primo riferimento è su quel Pagliarani (detto “Bigecca”) indicato come uno dei due sicari. Pare fosse un avo del nostro poeta Elio Pagliarani, come raccontato da quest’ultimo nell’autobiografia (Pro-memoria a Liarosa) nel brano riportato qui sotto.

L’altro riferimento (un intreccio davvero intrigante…) è con la vicenda della famiglia della mia amica viserbese Donata Ciavatti, che nel libro “La forza del coraggio” racconta la storia del bisnonno, Pietro Giani, condannato innocente per il delitto di un fattore della tenuta dei Torlonia. Dopo aver passato 28 anni alla catena Giani fu liberato grazie alla confessione del vero colpevole. Donata ipotizza, nel suo libro, che il bisnonno fosse stato incarcerato per il delitto Pascoli (i tempi e i luoghi corrispondevano), ma non è mai riuscita ad approfondire per la sparizione di alcuni documenti giudiziari.

Ma forse il testo di Elio Pagliarani porta luce sull’ipotesi di Donata: che il delitto del fattore fosse quello di Gori, l’altra vittima citata nel Pro-memoria?

Lancio a chi di dovere (o a chi “di piacere”) la sfida di un ulteriore approfondimento di queste ricerche storiche, mentre vi lascio alla lettura del capitolo del Pro-memoria in cui Elio parla dei Pajarèn e di Mariù Pascoli.

“I tre rami dei Pagliarani. Mariù Pascoli”.

(di Elio Pagliarani, da “Pro-memoria a Liarosa, Marsilio Editore 2011).

Come mi spiegò una ventina d’anni fa il fratello di Tonino Guerra, son tre i rami dei Pagliarani diramatisi dalla zona di Sant’Arcangelo; quello di ricchi o benestanti, detto dagli amici non ricordo più se Pajarèn ‘dla Chesa o Pajarèn ‘dla Piaza, perché avevano case nella piazza principale di Sant’Arcangelo, mentre dai nemici il loro capofamiglia era detto Pajarèn e’ Brot, Pagliarani il Brutto, perché evidentemente non abbondavano in prestanza; i Pagliarani poveri erano divisi in due sottogruppi, quelli poveri e bonaccioni o lamentosi erano chiamati Pajarèn Bisugnèn (bisognevole?, bisognoso?), mentre quelli da prendere con le molle erano i Pajarèn S-ciupàz (da schioppo): dunque non soltanto mio nonno, ma anch’io sono un Pajarèn S-ciupàz; fino a vent’anni fa credevo che fosse soltanto il soprannome del nonno, invece Guerra mi spiegò bene che riguarda tutto un ramo, come ho detto. E credo proprio che fosse il ramo così tanto odiato da Mariù Pascoli.

I miei Pagliarani stavano a Casale almeno dal Seicento, mezzadri dei frati del convento (dunque dimezzati anch’essi, ma senza l’onta di un padrone diretto, fisicamente concreto e concretizzabile) e il nonno Cesare verso la fine dell’Ottocento si fece dare la sua parte di stime e uscì dalla  terra, diventando commerciante di cavalli e di bestiame in genere. Casale è a due o tre chilometri da San Mauro, e ci confina, e Mariù Pascoli come ho detto odiava talmente i Pagliarani da subire un giudizio e pagare una penale di venticinque lire per essersi rifiutati, lei, e assecondata da Giovanni, di ricevere in casa loro a Castelvecchio di Barga una domestica, Nina, fatta assumere dai loro parenti Pascoli in Romagna, appena seppero che faceva di cognome Pagliarani. E certo un Pagliarani, Luigi, detto “Bigecca” fu indiziato, con altri e poi prosciolto in istruttoria, nelle indagini sull’assassinio di Ruggero Pascoli, come racconta appunto Mariù nelle sue memorie. Me lo segnalò Mario Luzi, una volta che lo incontrai (in Georgia, Urss, nel ’66), e appena mi fu possibile cercai di documentarmi sulla faccenda. Intanto ero sicuro che se la mia famiglia fosse stata coinvolta nell’assassinio del Pascoli l’avrei saputo, se non altro perché a Viserba abitava quel chiacchierone arteriosclerotico del ferroviere in pensione Tognacci, di San Mauro, e grande amico della famiglia Pascoli (oltre che padre di quel mio professore di disegno). Lui che allevava pere così grandi (una volta – raccontava – chiamò la moglie, e quella rispose immediatamente e il suono della voce gli fece capire che era vicinissima, ma lui non riusciva a vederla: per forza, stava nascosta dietro una pera!) avrebbe gridato dietro “Assassino!” anche a me bambino, quando passavo vicino a casa sua, fossimo stati in qualche modo implicati nella faccenda (un sacerdote Tognacci battezzò proprio Giovanni e altri figli di Ruggero Pascoli).

Quanto a Bigecca, c’è da dire che fra quelli che lo scagioneranno c’era anche Raffaele Pascoli, detto “Felino” fratello minore di Giovanni, e dico il fratello minore buono, non la pecora nera della famiglia Pascoli, cioè Alessandro Giuseppe, che aveva tre soprannomi, come si legge nelle memorie di Mariù: nei momenti buoni era detto Peppe, nei momenti così “Lascaro” e nei momenti peggiori “Paglierani” (qui con la ‘e’) anche perché aveva, secondo Mariù, anche la colpa di aver sposato una vedova Pagliarani con relativi figli di primo letto.

La verità più probabile di questo odio di Mariù è invece dovuto al fatto, secondo me, che Luigi e altri Pagliarani erano o erano stati compagni di osteria e di discorsi socialisteggianti, non solo dei fratelli minori Raffaele e Alessandro Giuseppe, ma anche dello stesso Giovanni, il quale anche se probabilmente non bazzicò mai osterie ebbe da giovane trascorsi e amicizie anarchiche e socialiste, come sappiamo, e si beccò anche il carcere a Bologna semplicemente per essere andato ad assistere al processo di Andrea Costa.

A proposito del delitto Pascoli voglio anche ricordare che in quel periodo non fu ucciso soltanto il fattore-capo o intendente Ruggero Pascoli, ma anche un fattore Gori, sempre alla tenuta La Torre dei Torlonia: anche i Gori fecero a suo tempo le loro indagini e il risultato fu il medesimo di quello di un’inchiesta ufficiale o ufficiosa sul delitto Pascoli: certi mesi dell’anno i mezzadri della tenuta La Torre usavano arrotondare le loro entrate facendo un notturno e ovviamente clandestino contrabbando di sale delle vicine saline di Cervia, e a un certo punto Ruggero Pascoli volle impedirlo, sia perché la faccenda era contraria alle legge sia perché i contadini rendevano di meno nel lavoro dei campi in quel periodo in cui la notte facevamo i contrabbandieri: in questo clima maturò l’assassinio dei fattori Pascoli prima e di Gori poi, ci sia stato o no qualcuno che – come ha sempre pensato Giovanni Pascoli – abbia manovrato la faccenda per carpire l’importante incarico che Ruggero Pascoli aveva nella tenuta dei Torlonia.

La fantastica storia di Talacia e del suo orologio gigante.

Venerdì 20 luglio 2012, alle 21.30 in piazza Pascoli a Viserba, l’attrice/cantante Liana Mussoni, accompagnata dalle musiche di Tiziano Paganelli e con intermezzi di Mario Bianchini, porterà in scena “L’orologio di Talacia”.
Lo spettacolo racconta la curiosa storia di Gennaro Angelini, detto “Talacia” (n. 1874 – m.1956) contadino semianalfabeta e genio inventore. Nell’arco di più di trent’anni costruì una meravigliosa “macchina del tempo”, che suscitò l’interesse anche di giornalisti stranieri e su cui l’Istituto Luce girò un documentario.
L’orologio di Talacia, lungo sei metri e perfettamente funzionante, era costituito da ingranaggi ricavati da pezzi di legno, arcolai, catene di bicicletta, corde. Segnava minuti primi e secondi, quarti, mezzore, ore, giorni, settimane, mesi, stagioni, anni ordinari e bisestili, fasi lunari, costellazioni, lustri, decenni, secoli, millenni.
La fantastica creatura, crescendo un pezzo alla volta, stava appesa alla stalla, convivendo col placido ruminare dei buoi, nella casa colonica a fianco della chiesa di San Martino in Riparotta, il borgo sulla via Emilia da cui ha avuto origine Viserba e da cui dista un paio di chilometri.
Liana Mussoni nel suo spettacolo sa evocare l’atmosfera di quei tempi e la magia della storia di questo geniale inventore naif.

Lo spettacolo è organizzato dall’associazione “Ippocampo Viserba” (Laboratorio Urbano della Memoria), con la collaborazione di Playa Tamarindo, alcuni alberghi della zona, Comitato Turistico, parrocchia di Viserba Mare.  
L’ingresso è libero.

Per il pomeriggio di domenica 22 luglio, dalle 16 alle 19, i soci di Ippocampo organizzano una visita guidata alla chiesa di San Martino in Riparotta, dove il parroco don Danilo, con la collaborazione del Met (Museo degli Usi e dei Costumi della gente di Romagna) di Santarcangelo è riuscito a riportare l’orologio che per diverse ragioni era stato smontato e trasferito in altra sede.

Per le visite “libere”, la sagrestia è aperta ogni domenica mattina.
Per eventuali prenotazioni tel. 0541 740602.

Quidi seguito, un bell’articolo di Marzia Mecozzi (dal sito di Ippocampo Viserba).

L’orologio di Talacia. La ricerca del Tempo nella stalla di Angelini Continua a leggere

Con “La ragazza Carla” domenica anche Viserba abbraccia Elio, il suo poeta

Elio Pagliarani, viserbese doc, è stato uno dei più grandi poeti del Novecento italiano e uno dei più importanti cittadini di Rimini.
Pur avendo lasciato Viserba per trasferirsi prima a Milano, poi a Roma, Elio non aveva mai reciso il cordone ombelicale con la terra d’origine, tornando sempre per le vacanze estive.
A Viserba, ai suoi luoghi, ai ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, Pagliarani ha dedicato molti dei suoi versi e buona parte del libro “Pro-memoria a Liarosa”, l’autobiografia pubblicata nel 2011 con Marsilio Editore.
A pochi mesi dalla sua scomparsa il Festival “Assalti al Cuore”, in programma a Rimini dal 6 all’8 luglio, rende omaggio al poeta proponendo una versione inedita del più teatrale dei suoi testi, “La ragazza Carla.
La lettura è affidata a Sonia Bergamasco, attrice allenata alla poesia dalle sue stesse esperienze di scrittura. Ad accompagnarla, il violoncello di Martina Bertoni su musiche originali di Teho Teardo, compositore noto per le sue colonne sonore (Diaz, Il gioiellino, Lavorare con lentezza…) e premiato con il David di Donatello per le musiche del film Il Divo.

L’appuntamento, ad ingresso libero, è per domenica 8 luglio 2012 alle ore 18.15 al Teatro degli Atti (via Cairoli).

Con il patrocinio, fra gli altri, dell’associazione Ippocampo Viserba.

In questo video un servizio sulla Conferenza stampa di presentazione del Festival Assalti al cuore ed. 2012, dove Cristella ha rappresentato l’associazione Ippocampo, intervenendo prima del sindaco, dell’assessore comunale e dell’assessore provinciale. Osta, però! Simone Bruscia for President!

Strozzapreti rosa al gorgonzola e radicchio rosso

Pronti per la Notte Rosa? Ci sono in giro ricette di vario tipo, tutte pink, o rosa che dir si voglia. Dopo aver pensato al dolce, ecco un buon primo “made in Cristella”.

Ispirata dalle piadine rosa viste in alcune fotografie e servizi Tv, ecco la pasta che più facilmente riesce a Cristella: gli strozzapreti romagnoli, che, grazie alle quasi 37mila visualizzazioni, commentati da tutto il mondo,sono diventati anche un must su Youtube (la propaganda alla nostra bella Romagna passa anche da questi canali, giusto?).

Titolo: strozzapreti rosa al gorgonzola su letto di radicchio rosso.

Ingredienti per 4 persone.

Per la pasta: mezzo chilo di farina, un uovo, una rapa rossa, un cucchiaino di olio extra-vergine, un pizzico di sale, un bicchiere di acqua tiepida.

Per il condimento: un porro, un radicchio rosso, 1 etto (o più, a seconda dei gusti) di gorgonzola, mezzo bicchiere di latte, mezzo bicchiere di olio extra-vergine, sale, pepe, parmigiano grattugiato.

Preparazione.

Si prepara la pasta come spiegato nel video. Unica variazione: un’aggiunta all’acqua tiepida di una di rapa rossa lessata a pezzetti, poi frullata direttamente nel pentolino col frullatore ad immersione.

In questo modo la pasta ha preso un bel colorino rosato (forse si può ottenere lo stesso risultato utilizzando un cucchiaio di concentrato di pomodoro, la prossima volta Cristella proverà questa variazione…).

Mentre si pone sul fuoco la pentola con l’acqua per cuocere la pasta, in una padella antiaderente si mette a scaldare l’olio e si aggiunge il porro tagliato a striscioline sottili.

Quando questo si è ammorbidito si aggiungono il radicchio rosso, sempre tagliato a striscioline, un po’ di sale e di pepe. Si lascia sobbollire, mescolando con un cucchiaio di legno, finché il radicchio appassisce. A questo punto si aggiunge il gorgonzola a cubetti e il latte. Si continua a mescolare, sempre fuoco basso. Quando la pasta è cotta, si scola e la si versa nella padella del condimento. Altri due-tre minuti, sempre mescolando. Si completa con una bella manciata di parmigiano grattugiato.

Nei piatti piani si prepara il “letto di radicchio rosso” (nome pomposo per dire, semplicemente, del radicchio crudo tagliato a striscioline sottili) e si versano gli “strozzapreti rosa al sapore di gorgonzola

Visto, si stampi: “i còmbri” son maturi

ESTERNO GIORNO. VISERBA.

Un caldissimo pomeriggio d’inizio estate. Due giovani collaboratori della nuova Frutteria “Da chi Zuclòn”, seduti all’ombra a uno dei tavolini del giardino, stanno meditando dubbiosi di fronte ad un grande cartello. Pennarello in mano, vedono passare Cristella e non perdono l’occasione.

“Cri – chiama Angelo – ci puoi dare una mano?”

Come rifiutare la richiesta d’aiuto di un bel giovanotto? Ma che vorrà mai?

“Vorremmo scrivere una cosa in dialetto, ma non siamo sicuri”.

“Proviamo. Com’è la frase in italiano?”

“Abbiamo i cocomeri più buoni”.

Beh, la prima risposta è tutta cesenate: “Avém i combàr piò bòn”.

E, invece, Cristella ha dimenticato, per un attimo, che qui siamo a Viserba e la lingua della mamma va sostituita con quella, acquisita, della suocera. ‘Còmbar’ u’n và bén, suona un po’ stonato.

Seduta poco distante, che si gode uno dei freschi e colorati aperitivi della Frutteria, c’è a portata di voce la mamma del Re Consorte, Malvina. Riminese doc, la bionda signora conferma ad Angelo: “us dìs avém i còmbri piò bòn!

Visto, si stampi! Il cartello ora fa la sua bella figura di fronte al locale e richiama i passanti accaldati. Perché, con ‘sti caldi… una bella fetta ad còmbri l’è propri quèl cu’i vò.

Ma, vogliamo approfondire l’argomento, in stile Cristella? Continua a leggere