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Alla scoperta dell’arte della mia città

Ci passo davanti, a piedi o in bici, almeno due volte al giorno.  Le loro imponenti fiancate fanno parte del panorama del tragitto quotidiano (ambedue – che coincidenza – hanno la facciata col portone d’ingresso in posizione defilata rispetto a quanto fosse in origine.

Sono la chiesa dei Servi (Santa Maria in Corte), in corso d’Augusto, e la chiesa di Sant’Agostino (Santi Giovanni Evangelista e Rocco), in via Cairoli.

Oggi, finalmente, mi sono regalata il tempo per andarne a conoscere l’interno. Senza fretta e con qualcuno che spiegasse.

L’occasione è stata la XX giornata Fai di primavera (che si ripeterà anche domani, domenica, dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18) che a Rimini si intitola “Arte e Architettura a confronto dal ‘300 a oggi: la chiesa di Sant’Agostino e la chiesa dei Servi”.

Che dire? Oltre alla meraviglia per le opere d’arte che fanno parte del patrimonio semi-nascosto della nostra città, un po’ di rabbia di come parte di queste vengano trascurate e di quanto bisogno abbiano di essere rispolverate (letteralmente! dovreste vedere la “quadreria” posta in un corridoio del vecchio chiostro dei Servi!), salvaguardate, restaurate e… pubblicizzate.

Bravissimi gli “apprendisti ciceroni” che hanno accompagnato i numerosissimi visitatori spiegando con competenza  le meraviglie contenute nelle due chiese.  Complimenti davvero agli studenti del Liceo Classico “Giulio Cesare”, del Liceo di Scienze Sociali “Manara Valgimigli”, del Liceo Scientifico-Artistico “Alessandro Serpieri”, del Liceo Statale “Volta-Fellini”  di Riccione.

Vedere dei giovani così competenti e appassionati rinfranca il cuore.

 

 

 

 

In dialetto si dice meglio: u t’è arvànz un pò ad rusghìn?

Osta, quanti rusghini ci sono nell’aria, nella politica non solo riminese…

Rusghìn, cioè rosichino, da rosicare (così lo definisce Gianni Quondamatteo); irritazione della gola.

Quel qualcosa che si sente in gola, vuoi alla vigilia dell’infiammazione, vuoi perché è asciutta, vuoi perché si sono ingeriti cibi grassi. Ed è per quest’ultima ragione che si dice “dam da bév” (dammi da bere) oppure “dam un pèz ad méla, ch’a manda zò e’ rusghìn” (dammi un pezzo di mela, in modo che riesca a mandar giù il rosichino).

Ma rusghìn significa anche quel che resta dell’astio, del risentimento: “l’ha ancora una muliga ad rusghìn, l’ha un rusghìn ch’un vò andè zò” (ha ancora un po’ di rosichino, ha un rosichino che non riesce a mandar giù).