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Gli intraducibili. Ac fat buliroun, òz!

Se volessimo essere finarlini, in italiano si dovrebbe dire “che fatto bulirone, oggi!” Antò, fa caldo!

Diciamo la verità, romagnoli, miei: non è proprio la stessa cosa! in dialèt, l’è mèi!

Parché un buliroun l’è chèld, e’ fa s-ciupè, l’è gròs, e’ fa casèin tot d’intorna…

E’ buliroun non è lo stesso del bulirone, che nessuno l’ha mai sentito e non appare nel dizionario italiano (aspetta, che controllo, non si sa mai… Na, un gn’i è).

Il mitico Gianni Quondamatteo, invece, ha inserito e’ buliroun nel suo “Dizionario Romagnolo Ragionato“. Ed ecco come descrive tale parola.

“Confusione di cose ed oggetti messi insieme alla rinfusa, ma anche situazione esplosiva, torbida; voci concitate. J à fat un buliroun: vi hanno messo dentro un po’ di tutto; hanno mischiato ogni cosa. U j era un buliroun d’ròba. Se s-ciòpa e’ buliroun e’ véin la féin de mènd. Ilé burdéll u j è un buliroun d’roba ch’l è mèj tnis da long. Per il Morri e il Mattioli – come per noi – buliròn è anche il catarro, il catarrone; per l’Ercolani è il rigurgito. Anche rabbia, ira: e’ m’èra vnu un buliroun… Camp. caldo intenso, calura: l’ha d’avnì so un buliroun, òz... I bulirùn, al plurale, sono le caldane, le improvvise vampate di calore alla testa, anche nella menopausa.”

Quindi, personalmente, per non farmi mancar nulla, oggi li ho proprio tutti: e’ buliroun e i bulirùn!

Av salùt!

Tatarcord? Rimini e Viserba 47 anni fa: i locali da ballo più alla moda

Trovarsi in mano un giornale di 47 anni fa e dare un’occhiata alla pagina mondana fa pensare ad una Riviera scoppiettante e ombelico del mondo. Viali affollati, con belle auto scoperte che fanno invidiare chi le guida e chi siede al suo fianco. Lentamente vanno. Dove?

Nei posti più “in”, tra Rimini e Viserba: Paradiso, Garden Ceschi, Casina del Bosco, Locanda del Lupo, L’altro mondo…

C’è da sorridere anche a guardare l’elenco degli artisti, alcuni dei quali tuttora attivi. Ma una meritata pensione, no? Largo ai giovani, no?

Vabbè, godiamoci questo breve “tatarcord”…

“La Stampa” del 7 agosto 1969

“A RIMINI gli urlatori sono una fila di 15 km”

Migliaia di sale da ballo sulla spiaggia romagnola

Gli esperti turistici si vantano di avere la più efficiente azienda di soggiorno italiana e di non rimandare mai indietro alcun turista, in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza. Indubbiamente la città di Rimini continua ad espandersi, italiani e stranieri continuano ad arrivare, le attrazioni continuano a moltiplicarsi. I 15 chilometri di spiaggia e di lungomare offrono mille tentazioni. Si è fisicamente aggrediti da una serie di proposte tipiche della società dei consumi, dal semplice olio contro le scottature all’oggettino – ricordo, al prodotto locale per uno spuntino improvvisato. Le mode variano e passano ma la gente spende con entusiasmo: soprattutto di sera quando la compagnia si fa allegra e bisogna scegliere il modo di passare tre o quattro ore di divertimento. A questo punto i locali da ballo aumentano la pubblicità e sciorinano il nome di cantanti e complessi in voga. In luglio a Rimini in una settimana ci sono stati i Rokes, The Four Kents, The New Trolls, Bongusto, Bongiorno e Mack Porter. Ora, in piena stagione, nessuno dei grandi nomi della musica leggera sembra aver trascurato Rimini nei suoi programmi. Il “Paradiso Night Club”, dopo una serata con Johnny Dorelli, ha firmato un contratto per tutto agosto con Bruno Martino e il suo complesso: la spettacolare rivista «Brasiliana ’69» e The Rokes hanno richiamato gran folla alla Locanda del Lupo. Quest’ultimo locale esibisce sui cartelloni della passeggiata i nomi dell’Equipe 84, di Patty Pravo e Don Backy. Mentre il «Garden Ceschi Club» di Viserba punta su The Rokes, Mal dei Primitives, Nico e i Gabbiani.

Questi gli arrivi dei prossimi giorni: il 9 Giorgio Gaber alla «Casina del bosco», il 10 Mina a «L’altro mondo», 11 e 12 The Crazy Boys al «Ceschi». Successivamente avremo Ombretta Colli, Alighiero Noschese, Al Bano, Adriano Celentano e la finale regionale per l’elezione a Miss Italia.

 

 

Viserbesi da non dimenticare. Quinto Sirotti: medico sempre in missione.

Tra le figure di intellettuali, patrioti e benefattori, Viserba annovera Quinto Sirotti, Croce al Merito di Guerra, medico e combattente di grande statura professionale e umana.
(articolo pubblicato alle pagine 16, 17, 18, 19 del numero 7, febbraio 2016, di “Vis a Vis”, giornale leggibile per intero dal sito dell’associazione Ippocampo Viserba leggi VIS a VIS n. 7)

Fotografie, documenti e certificati, lettere, libri, ritagli di giornale: come sempre le storie di vita raccontate su “Vis a Vis” prendono spunto da ricordi di famiglia che gli interessati, con generosità, mettono a disposizione dell’associazione e dei lettori.

La cartelletta della signora Maria Teresa Scardovi è come un piccolo scrigno del tesoro, custodito amorevolmente, che in un freddo pomeriggio di fine autunno scende con lei dall’Alta Valmarecchia (precisamente la casa di Soanne, nel comune di Pennabilli, dove si è trasferita da qualche anno) e, percorrendo la stessa strada del fiume, giunge fino al mare.

 

Si tratta di un ritorno a casa, visto che stiamo parlando di un personaggio molto noto, che a Viserba ha vissuto e lavorato dagli inizi degli anni Cinquanta fino alla sua morte, avvenuta il 26 maggio del 1985: Quinto Sirotti, marito di Maria Teresa, ma anche medico di famiglia di tanti viserbesi.

Ma non solo…

Mentre sfogliamo i libri che parlano di lui e stendiamo sul tavolo le fotografie che lo ritraggono nelle varie epoche, la moglie ci racconta la vicenda umana di Sirotti, sfoggiando una memoria puntale nonostante gli ottantacinque anni dichiarati, dato anagrafico che non corrisponde alla freschezza della persona e dei suoi argomenti.

Ascoltare le varie vicende che lo hanno visto protagonista ci dà conferma che, oltre ad essere stato “il medico di tutti”, Quinto Sirotti è stato “tanto altro”.

“Aveva una ricca personalità e la sua esistenza è stata preziosa, soprattutto ‘agli altri’. – leggiamo in un articolo del 28 giugno 1985, firmato dall’amico Leone Cilla – Uomo colto e sensibile, amico generoso, partigiano coraggioso, medico fraterno e sapiente. Personaggio dotato di grande spirito di avventura umana, in ogni caso totalmente privo di dimensioni medie e convenzionali.”

Nato a Ravenna il 26 febbraio 1921, a Sirotti venne imposto il nome di “Quinto”, poiché arrivato dopo quattro femmine. Coccolato e amato dai genitori e dalle sorelle maggiori, da subito divenne “Quintino”. Nome usato anche in seguito dai compagni di scuola, nonostante la “taglia vigorosa”.

Dopo aver frequentato ginnasio e liceo, si iscrisse alla facoltà di Medicina, a Bologna. Nel 1941 venne chiamato a prestare il servizio militare. L’8 settembre 1943, con lo sbandamento dell’esercito italiano, si ribellò e, insieme ad alcuni compagni romagnoli, in bicicletta, da Ravenna si recò fino a Lesina, sul Gargano, attraversando le linee nemiche, per dar vita all’ORI (Organizzazione per la resistenza italiana), prima organizzazione volontaria di combattimento a fianco degli alleati con compiti di sabotaggio, informazione e collegamento dietro le linee tedesche. Altri componenti dell’ORI, per dare un’idea, furono il futuro primo presidente della repubblica, Enrico De Nicola, e Ugo La Malfa.

Col suo gruppo Sirotti operò in azioni temerarie, in collegamento con la grande organizzazione segreta americana OSS (“Office of Strategic Service”). Nel novembre del 1943 decise di aggregarsi alla “28^ Brigata Garibaldi” di Arrigo Boldrini (“Bulow”), diventando “comandante di battaglione partigiano”.

Servirebbero molte pagine, per raccontare quei giorni di lotta contro il nemico. La signora Sirotti, che ai tempi era una ragazzina di tredici anni e ancora non conosceva il suo futuro marito, ne narra tanti particolari, citando luoghi, nomi e incarichi, lasciando trasparire grande affetto e gratitudine per il “suo combattente”.

Una vicenda fra le tante, come altre citata anche nel libro di Luigi Martini “Dalla bici al sommergibile. Le missioni ORI dirette dai romagnoli” (in possesso della signora Maria Teresa), si svolse proprio a Viserba. Forse un segno del destino, visto che la località non era ancora nei progetti del giovane studente-partigiano.

“Il 19 novembre 1943 Sirotti si imbarcò assieme a Boldrini, due aviatori alleati abbattuti dalla contraerea tedesca e altri nove partigiani, per raggiungere il comando dell’Ottava Armata al quale Bulow doveva tenere la conferenza illustrativa delle proposte di piano della liberazione di Ravenna. La spedizione raggiunse Viserba e venne condotta alla ‘Villa Cammeo’, sede del comando.” 

Al termine del conflitto Quinto Sirotti venne insignito della Croce al Merito di Guerra, con il riconoscimento della qualifica di “partigiano combattente”.

Con l’aiuto e il sostegno delle sorelle riprese gli studi di medicina, laureandosi nel 1950. Lo stesso anno in cui, ad una festa del Partito Comunista a Ravenna, conobbe Maria Teresa, giovane maestra di Lugo, figlia di un capostazione.

L’arrivo in territorio riminese è del 1952, quando il medico di famiglia di Quinto, il tisiologo Enrico Bedeschi, ottenne un incarico alla casa di cura Villa Salus e portò con sé due aiutanti, il dottor Glauco Vallerini e lo stesso Sirotti. Inizialmente i due giovani medici abitarono nella clinica (li raggiunse presto anche il collega Fernando Morigi), poi, in seguito al matrimonio di Quinto e Maria Teresa, avvenuto il 12 settembre del 1953, si trasferirono a Viserba. Qui presero in affitto un appartamento sopra all’ufficio postale, di fronte all’hotel Lido: una camera per gli sposini, un’altra per Glauco, la cucina in comune. Inoltre, il primo ambulatorio, condiviso dai due dottori.

Intanto, già il primo ottobre di quell’anno, la signora Sirotti iniziò ad insegnare in provincia di Chieti, per un anno scolastico che prevedeva incontri periodici dei due piccioncini a metà strada, in quel di Pescara.

In seguito, la stessa situazione professionale dei due medici (e “condominiale”) si ripeté con l’affitto della villetta di proprietà dei De Deminicis, in via Milano.

Maria Teresa continuò ad insegnare alle elementari, spostandosi in varie sedi della Romagna (in totale saranno sedici anni), trovando anche il tempo per laurearsi in pedagogia e passare così alle scuole medie, dove insegnerà per altri ventiquattro anni (a Bellaria e a Viserba), fino al 1988.

Nel frattempo, la nascita dei primi due figli (Claudio nel 1955 e Marina nel 1956) e l’acquisto della casa di via don Minzoni (nel 1958), dove Quinto aprirà un ambulatorio tutto suo, con ingresso su via Dati. Il terzo figlio, Roberto, che oggi ha quarantotto anni, arrivò quando la famiglia era già stabilita in questa abitazione più spaziosa.

Oltre all’attività di medico di famiglia, con la specializzazione in pediatria conseguita nel 1971, Quinto ottenne l’incarico di direttore sanitario all’istituto per bambini handicappati “Luce sul Mare” di Igea Marina, che allora era una società a responsabilità limitata. Quando, nel 1980, la proprietà mise in liquidazione la società (“volevano farne un condominio!”, spiega Maria Teresa), lui, da vero combattente, si oppose fermamente e organizzò la protesta dei dipendenti. Una lotta vincente: il 25 luglio del 1980, infatti, si costituì la Cooperativa Luce sul Mare, nella quale Sirotti continuò a ricoprire il ruolo di direttore sanitario e assunse quella di presidente. Per l’impegno attivo sempre dimostrato, che portò ad un grande sviluppo della cooperativa sia nell’assicurazione ai ragazzi di una degna qualità di vita, sia nella garanzia di occupazione dei lavoratori, nel 1993 a Quinto Sirotti è stato intitolato un reparto di riabilitazione.

L’attività a tutto campo del dottor Sirotti non mancò di toccare la politica attiva: per vent’anni, infatti, fu consigliere per il partito comunista al Comune di Rimini.

Definirlo “dottore di tutti”, quindi, pur essendo verità, non basta.

 Le parole dell’amico Leone Cilia descrivono l’uomo Sirotti meglio di altre: “Ha sempre perseguito elevate ldealità, laiche e razionali. Un idealista, che ebbe il dono di continuare a sognare, sapendo di sognare.”

 

 

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Quant che chènta al zghéli…

Tonino Guerra, “L’orto di Liseo”.

Agòst

D’agòst quant che cantéva al zghéli
u i ciapèva dal bòti ‘d sònn
ch’u s’indurmintèva se cucèr tal mèni
o sla faza apuzèda m’una cana dl’òrt.

ènca mé d’agòst a m’indurmént se cucèr tal mèni
e al zghèli al chènta, al chènta tòt e dé…
c’am vaga a lèt?

Cronache dal passato

Rimini e dintorni in un articolo di sessant’anni fa, 20 giugno 1955. L’inviato del quotidiano torinese “La Stampa” racconta la nostra riviera in uno dei momenti più dinamici della sua storia: la ricostruzione postbellica legata al contemporaneo sviluppo del turismo di massa. Leggiamo di pensioni e alberghetti tirati su velocemente, di “alberghi interamente ricostruiti e modernizzati”, di prezzi alla portata di tutti. Immaginiamo i nostri nonni e i nostri genitori impegnati, e sicuramente frastornati, in questa epoca magica, quando intere famiglie scendevano alla marina, armi e bagagli, abbandonando campagne e colline. Nei mille cantieri della riviera in costruzione e in ricostruzione sappiamo impegnati i nostri pescatori o contadini che poi d’estate cambiavano giacchetta e diventavano albergatori, baristi, bagnini, commercianti.
E le loro donne, le arzdòre romagnole avvezze a s-ciadùr e parananza? Anche loro in prima fila, forse più dei compagni. Sicuramente loro, non solo in questi anni ma già da prima, alle origini del turismo sulle coste romagnole, ad inizio Novecento, erano il fulcro di ogni attività. Magari in inverno facevano da manovali, con badile e carriola, per ricostruire, abbellire, allargare, alzare la casa, poi pensione, poi albergo… In estate, quindi, regine della cucina, forti della loro esperienza con lasagne, tagliatelle e compagnia bella.
Queste donne e questi uomini hanno creato le strutture che oggi abbiamo in eredità, lasciandoci anche il loro modo di affrontare le difficoltà e i carichi di lavoro. Atteggiamenti e ritmi oggi insostenibili, che noi, seconda o terza generazione, non possiamo e non vogliamo più seguire (e questo è uno dei principali motivi della “crisi” del nostro modello turistico).
Ma una cosa è certa: tutto quello che oggi Rimini è (ma anche Cesenatico, Riccione, Bellaria, Gatteo a Mare e tutte le loro sorelle sulla costa romagnola) ha avuto origine in quei frenetici anni a metà del secolo scorso. Molti di noi non erano ancora nati, ma lì e allora ha avuto origine tutto ciò che oggi è la nostra città. Non solo il suo skyline, ma soprattutto il carattere e il modo di lavorare della sua gente.
Ecco l’articolo del 20 giugno 1955.
A Rimini i nuovi alberghi nascono ogni anno a centinaia

Bombardata 380 volte, Rimini uscì dalla guerra con un terrificante bilancio – Ma ben presto si ricostruì – Per Ferragosto l’arco riminese può ospitare 120 mila persone -I prezzi e le comunicazioni ferroviarie
(Dal nostro inviato speciale) Rimini, 20 giugno.

La fortuna di Rimini è nel suo incomparabile arco di 25 chilometri di spiaggia, che abbraccia Miramare, Viserba, Viserbella, Torre Pedrera, Bellaria, Rivabella, Igea Marina, Marebello, S. Mauro Pascoli; in questa sabbia finissima e dolce che si stende in una striscia larga oltre cento metri, nella quale s’incrociano tutti i dialetti d’Italia e le principali lingue europee; in questo ampio e festoso Lungomare sul quale si affacciano alberghi e ville, profumato di pini e di oleandri; nella opulenza del suo retroterra, nella bonomia della sua gente e del suo clima. Ma non è soltanto in questo, è anche nella tenacia e nella grandiosità con le quali ha saputo risorgere dalle macerie. Rimini uscì dalla guerra con un terrificante bilancio. I 380 bombardamenti – aerei, navali e terrestri – avevano arrecato distruzioni o danni per il 98 per cento. Cercate di farvi un’immagine di ciò che poteva essere Rimini, con quell’esiguo, con quel trascurabilissimo due per cento di case intatte. Abitazioni, chiese, ospedali, edifici pubblici, monumenti, non erano che rovine. Quasi del tutto inesistente era l’attrezzatura alberghiera, principale risorsa della città. Sulla eco delle ultime cannonate, tutti coraggiosamente si sono buttati a ricostruire. Per un decennio Rimini è stata il più imponente cantiere edilizio d’Italia. Oggi essa può presentare questo consolante bilancio. Le sue case, i suoi edifici monumentali, sono risorti; rinnovata e potenziata è la sua attrezzatura alberghiera. Oltre settecento fra alberghi e pensioni sono a disposizione dei villeggianti italiani e stranieri tutti nuovi o rimessi a nuovo, e tali da appagare i gusti d’ogni categoria di turisti. Dalla sventura, Rimini ha tratto forza e vitalità. Alberghi interamente ricostruiti, altri modernizzati; altri ancora si sono aggiunti a quelli che già esistevano prima della guerra. Una settantina ne furono edificati nel ’53, un centinaio l’anno scorso; parecchie diecine sono in corso di costruzione, e verranno aperti nell’attuale stagione. I suoi settecento esercizi alberghieri, di grande e piccola capacità, rappresentano un totale di oltre ventimila posti letto. Altri venticinquemila posti letto sono disponibili in villa e appartamenti privati. Nel periodo di ferragosto su tutto l’arco riminese la capacità di dilatazione, con gli occasionali adattamenti, sale a cifre iperboliche, si quintuplica addirittura: raggiunge infatti le centoventimila persone. Un altro fattore gioca a favore di Rimini, ed è il noto fenomeno della costiera adriatica, dalla quale il mare si ritira d’un metro e mezzo per anno. Dal ’40 a oggi la sua fascia sabbiosa si è dunque allargata di oltre ventidue metri, altrettanto spazio offerto ai bagnanti per l’elioterapia, per il riposo, per i giochi. Con un apporto così sensibile e costante si parla già di costituire un secondo Lungomare, un Lungomare d’arroccamento, per altri alberghi e ville, per altri negozi e cinema e caffè. Ai vantaggi del clima e dell’attrezzatura si aggiunge quello, non meno seducente, dei prezzi, tradizionalmente modici in rapporto al trattamento. La spiegazione è nell’abbondanza di risorse locali: pesce gustosissimo, frutta squisita, vino eccellente. I prezzi sono quelli dell’alta stagione, che ha inizio il 1° luglio; e ad essi sono da aggiungere le solite tasse e imposte: servizio, IGE, soggiorno, una maggiorazione che si avvicina al 20 per cento. Categoria di lusso: 4600-5600; 1^ categoria, 2900-3200; 2^ cat. 2100-2450; 3^ cat. 950-1600. C’è poi un gran numero di pensioni, i cui prezzi vanno da 1200-1950 per la 2^ cat. a 1100-1600 per la terza. Con 5000 lire si può avere per un mese una cabina, con 3500 un ombrellone, con 3000 una tenda. Ma quasi ogni albergo o pensione dispone di una propria attrezzatura da spiaggia messa a disposizione della clientela. Sia quelli che queste promettono non trascurabili riduzioni per famiglie e per lunghi soggiorni. In quanto a ville o case private, i fitti per l’intera stagione d’un appartamento di cinque stanze variano da 80-100 mila lire a 200-250 mila a 300-350 mila, man mano che ci si avvicina all’ideale della “vista sul mare”. In netta e costante ascesa è l’affluenza turistica lungo tutta la costiera riminese. Centoquattromila furono i villeggianti Italiani nel ’53, e ventiduemila gli stranieri; nel ’54 salirono a centotredicimila gli italiani e a trentamila gli stranieri. Fra questi, al primo posto sono gli svizzeri con 8261 nel ’53 e 9122 nel ’54. Seguono i tedeschi con 4307 e 7222 rispettivamente (ma con gli arrivi di quest’anno i tedeschi sono passati in testa); gli austriaci con 4099 e 5177; i francesi con 2138 e 2416; gli statunitensi con 1017 e 1148. Da segnalare il balzo dei belgi, che da 398 nel ’53 son saliti a 1276 nel ’54, grazie all’aggiunta di alcune vetture per turisti al treno Transalpino che ogni domenica porta in patria i minatori italiani occupati nel Belgio. Comodità ferroviarie: si tenga presente quanto accade ai belgi riferito ai piemontesi. Alla tradizionale Liguria essi hanno aggiunto la Riviera riminese, alla quale si vanno affezionando sempre più. Sono stati 3347 nel ’51; 4391 nel ’52; 4994 nel ’53; 7112 nel ’54. Essi occupano il terzo posto nella composizione regionale dei villeggianti: li precedono lombardi ed emiliano-romagnoli. Ma potrebbero essere di più. Un serio ostacolo è rappresentato dalle scarse e lente comunicazioni ferroviarie. Non c’è che un treno con vetture dirette Torino-Rimini e uno Rimini-Torino. Ma così lento e scomodo che scoraggia a servirsene. Quasi nove ore per percorrere 447 chilometri: velocità media, 50 l’ora. Le stesse considerazioni – attrezzatura, prezzi, affluenza – valgono per il resto dell’arco adriatico, che comprende a nord Cesenatico e Cervia, a sud Riccione e Cattolica. Alberghi e pensioni per ogni esigenza, prezzi accessibili a tutti, trattamento accurato. E comunicazioni ferroviarie che non tengono conto delle necessità e dei desideri del pubblico e degli orientamenti dei suoi gusti. Vi sopperisce però l’iniziativa privata. Dal 15 luglio al 31 agosto la Sadem infatti attuerà un servizio diretto quotidiano di pullman Torino-Cattolica, con partenza alle 13,30 da Torino e arrivo a Cattolica alle 23,30, e con gli stessi orari per il percorso inverso. Per il periodo estivo verrà inoltre intensificato il già esistente servizio Torino-Bologna, assicurando all’arrivo in quella città la coincidenza con le linee per la riviera riminese e per Cattolica.
(Giuseppe Faraci)