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Mazapégul, folletto dal berrettino rosso

Qualche volta, al mattino, faccio fatica ad alzarmi dal letto. Mi sento affannata e ho un senso di peso sul petto… Potrebbe trattarsi di pura pigrizia o stanchezza.

Ma forse, chissà, potrebbe anche essere che… non ditelo a mio marito, però… durante la notte sia venuto a trovarmi  “e’ mazapégul”.

E’ mazapégul, dispettoso folletto dal berrettino rosso, l’ho incontrato per la prima volta ai tempi delle mie ricerche  per il libro Trama e ordito, mamme che tessono la vita. Era, fra le altre cose, ritenuto responsabile  degli sgambetti alle brave tessitrici.

Così, infatti, racconta lo scrittore folclorista di Sarsina Vittorio Tonelli: “Sul batti e ribatti del pettine e dei pedali una giovane tessitrice ritmava canzoni d’amore in faccia alla tela nascente del suo corredo da sposa. Muoveva svelta la spola nella trama di quel tessuto di sogno. Ed ogni volta se la sentiva sfuggire di mano, a volte tra il brusìo dei cannelli agitati. Ma chi era l’invisibile cavalier servente che le raccoglieva via via la drugla da terra, senza parole, nel respiro ovattato di un palpito? Era… un folletto innamorato: lo stesso nanetto dal berretto rosso che di notte le giaceva sul ventre, platonicamente o che faceva i dispetti in casa, mettendo sottosopra le stanze, spegnendo le candele, spettinandola mentre dormiva.”

E’ mazapégul, ch’l a e’ biritoci ròs e la bèrba ad legul (Il mazapégul, che ha il berrettuccio rosso e la barba di legolo), mi raccontava l’amico giornalista televisivo Marco Magalotti, nato a Sorrivoli di Cesena.

Lo spiritello cambiava nome a seconda dei luoghi: mazapégul, caicarèl, zapàider, fulèt, mazapès…

Per Gianni Quondamatteoe’ mazapégur” (o mazapégul) è lo spiritello, folletto che ama – secondo la superstizione – dormire con donne. E anche, secondo le nostre credenze – spiritello maligno che si divertiva a far dispetti ai contadini e nelle stalle. Infine, con questo nome si definisce il senso di oppressione, di peso al petto che si prova, talvolta, dormendo, dovuto ad ambascia, a soverchio cibo, o altro.”

Fantasia popolare senza confini: il mazapégul romagnolo è presente anche in Puglia (mazzamuriello, munaciedde), a Roma (mazzamurello), ad Ancona e Jesi (mazzamurèllo), in Lucchesia (linchetto), in Campania (munaciello), in Lucania (monachiccio), sul Gargano (scazzanuridd).

A chi volesse avventurarsi in un curioso viaggio fra i folletti italiani, consiglio una visita al blog di Placida Signora, che ne ha scritto approfonditamente in questo post.

Buon divertimento!

Cristella’s acciacchi

“E riteniamoci fortunati di non vivere negli Stati Uniti!”, mi ha detto l’altro ieri un’amica incontrata in una sala d’aspetto dell’Ospedale Infermi di Rimini. E ha spiegato: “Ora che mio marito s’è ammalato di tumore, se dovessimo pagare tutto (visite, ricoveri, esami, medicine, terapie, eccetera eccetera) dovremmo vendere la casa!”

Ecco: io mi consolo ripensando a questo dialogo.

Nelle ultime settimane ho effettuato controlli e visite su diversi “distretti” del mio corpo e tutti hanno richiesto degli approfondimenti. 

In quindici giorni ho visto cinque dottori delle varie specializzazioni e prenotato sette fra analisi ed esami strumentali, girando da uno studio all’altro e telefonando di qua e di là. Una radiografia la farò all’ospedale di Santarcangelo, una visita in quello di Cattolica e una a Riccione, le risonanze a Rimini (ma mi avevano proposto pure Cesena, che comunque so già essere il mio punto d’arrivo). Ah, nel frattempo mi hanno anticipato che probabilmente dovrò fare una capatina anche a Bologna.

Insomma: posso essere incavolata? Perché a nessuno dei medici viene in mente che tutti i miei “pezzi di corpo” e i problemi relativi potrebbero essere in qualche modo collegati fra loro? Magari – chissà – si perderebbe meno tempo e si spenderebbero meno soldi prendendo in carico la persona nella sua completezza, eventualmente in regime di day hospital, in centri polispecialistici. Dove, naturalmente, i medici possano riuscire a ragionare in termini di squadra… Forse parlo di fanta-medicina?

E poi, che rabbia: l’appuntamento dall’ortopedico preso in febbraio me l’avevano dato per il 31 luglio! A pagamento, invece, il dottore mi ha visitato dopo tre giorni (per la cronaca: 130 euro per 10 minuti di visita). Rinviandomi, comunque, a fare le radiografie nella struttura pubblica.

Il neurologo, invece, ancora più veloce: ho telefonato martedì alle 18, il posto c’era già mercoledì alle 19. Poco più di 24 ore (e altri 120 euro). Almeno la visita è stata più approfondita (non so se è un buon segno, a dire il vero…).

E non è finita: per una risonanza devo attendere più di due mesi (a meno che, naturalmente, non vada a pagamento). Per l’altra niente telefono: dovrò andare a prenotare presentandomi personalmente.

Se do un’occhiata alle trattenute della mia busta-paga mi rendo conto che in trent’anni di lavoro come dipendente ho fatto la mia parte, nel contribuire a sostenere il Servizio Sanitario Nazionale. Quindi non è proprio vero che visite ed esami fatti con la mutua siano del tutto “a gratis”…

Sì sì, lo so: andrebbe peggio se fossi nata negli Stati Uniti…

Consolati, Cristella, dai!

Saluto febbricitante…

Questo è un post influenzato…

Dai e dai, arriva un momento che ti fermi per forza!

Febbre alta e forti dolori alla schiena e alle gambe.

Neanche la forza di stare al Pc (sintomo ben grave, per chi mi conosce!).

Al prossimo post, dunque, sperando sia il prima possibile.

Non essere pataca: ti si alza la pressione!

Ci sono ancora, eccomi!
Dopo la sfacchinata sui tetti di Rimini di sabato notte e la sudata di domenica al centro commerciale Le Befane sto lentamente tornando nei panni di Cristella, quelli “à la tous les jours”.
Ciò significa che ogni mattina alle sette e mezzo ci si mette in macchina nel traffico di Rimini per andare in ufficio, dove c’è un badge da timbrare in orari mica tanto flessibili, un centinaio di persone che cercano lavoro con cui parlare ogni giorno, altrettante telefonate cui rispondere, nuovi colleghi con cui riorganizzare la micro-struttura che con altri (i “vecchi” colleghi) avevamo messo su negli ultimi 8-9 anni… Che volete che sia… Quisquilie, direbbe Totò.

Perché mica finisce lì: una volta tornate a casa bisogna anche fare la spesa, predisporre la cena, pensare agli addobbi natalizi che rischiano di rimanere in bella mostra per settimane, fare un salto dal medico per una ricetta, ritirare le analisi, portare la Fiesta nuova a fare il tagliando, scrivere un articolo che è stato richiesto da tempo, rispondere senza ansia a chi ti chiama sul cellulare nei momenti meno indicati. Eccetera eccetera eccetera.

Qualcuno sa dirmi perché in questo periodo ho la pressione alta?

Vatti a rileggere la poesia di Raffaello Baldini dove si dice, all’orologio che corre sempre: férmat, pataca!”

A proposito, avete visto l’ultima pubblicità televisiva con Valentino Rossi e Paolo Cevoli? Uno si affaccia alla finestra per dare del “pataca” all’altro (notare che “si dà del…”, non “si dice…”).

Godetevi questo pezzo di Zelig, visto che ci siamo.

Dopo la parola “amarcord” sdoganata da Tonino Guerra e Federico Fellini (che in realtà sarebbe composta da due parole: “am arcord”, mi ricordo, voce del verbo “arcurdès”) anche “pataca” è forse destinata a diventare d’uso comune nella lingua italiana?
In tal caso, non fate figuracce: ricordatevi (arcurdév) che si scrive con una sola “c”. Mi raccomando!
Am arcmand: “pataca”.
Adesso mi fermo anch’io.
Devo ancora appendere al chiodo la scopa da Befana e chiudere nell’armadio, fino all’anno prossimo, la sottana e le calze rotte.

La Befana delle Befane

No, non è un gioco di parole. Domani pomeriggio, in occasione dell’estrazione dei biglietti della lotteria dello Ior (Istituto Oncologico Romagnolo), al Centro Commerciale ‘Le Befane‘ di Rimini, per intrattenere i più piccoli ci sarà una signora travestita da Befana.

Con la sua scopa di saggina, lo scialle di lana, il fazzolettone e la lunga sottana con le tasche colme di caramelle.

La sedia a dondolo la porteranno gli amici per farla riposare (dopo la nottata di lavoro, è indispensabile, eh…). Lei, invece, porterà con sé un cesto pieno di gomitoli di lana colorata, per fare con l’uncinetto le roselline che andranno a formare le coperte magiche, e una grande sporta con le storie che Cristella ha scritto in questi ultimi anni ogni 6 gennaio.

Eh, sì. Avete indovinato: à Riminì, la Befanà, c’est moi!

Non posso anticiparvi la storia che racconterò domani, perché i bambini che verranno alla festa devono essere i primi ad ascoltarla.
Posso solo svelare un particolare: questa volta Regina Cristella è stata aiutata dalla Duchessa Maristella, cioè la signora Marina, madre di Diego e Gabriel, che nella vita di tutti giorni è un’imprenditrice artigiana di Viserba.

Ah, se volete capire il senso del titolo di questo post, potete leggervi la favola che avevo scritto l’anno scorso.

La Befana delle Befane
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