Archivi categoria: Scrittori

Bona, la Riccia e le altre

Oreste de Lucca è un noto storico e ricercatore dall’attenzione certosina ai particolari, così come richiede la sua passione. L’ambito temporale che ama di più è quello del Medioevo. Il territorio, manco a dirlo, è il riminese. Ha pubblicato numerosi lavori e collabora con diversi periodici. Di recente un suo articolo, dalle pagine del quindicinale “Chiamami Città”, ha fatto l’occhiolino a Cristella. Tenuto in stand by per un mesetto, è ora di linkarlo. Anzi, di copia-incollarlo (che così si fa prima a leggerlo…).

E’ carino, vero? Buona lettura!

“Via del porto c’è una graziosa…” (Chiamami Città del 18 aprile 2012) di Oreste Delucca

La prostituzione a Rimini nel medio evo

Le meretrici confinate a Borgo Marina fra “ribaldi, lenoni e ubriachi dediti a baruffe”.

Sul finire del Medioevo – e per vari secoli a seguire – la prostituzione a Rimini è stata relegata nella zona del porto. Continua a leggere

Stefano Benassi: a Rimini un premio letterario per ricordare un grande Maestro di scrittura

“Prima di pensare di saper scrivere bene, si deve imparare a leggere”. Per chi ama scrivere. Per chi pensa che spesso l’immaginazione supera la realtà. Per chi ogni tanto inforca gli occhiali della fantasia e ama raccontar storie.

Per tutti loro (per tutti noi) c’è una bella occasione: il concorso internazionale di narrativa “Premio Stefano Benassi” organizzato da Università Aperta “Giulietta Masina e Federico Fellini” di Rimini. Continua a leggere

Un buon motore, ma anche una riserva enorme di carburante per tenerlo in moto…

Basta poco, a volte, per ripercorrere con la mente anni e anni della tua vita, con i suoi dolori e le gioie, le incertezze e le scelte…

Appena mezz’ora fa, grazie ad un incontro casuale sulla piazza di Facebook, una nuova “amica” mi ha portato per mano a rivivere un periodo molto particolare: all’incirca dodici anni fa.

Forse era destino: c’è qualche congiunzione astrale particolare? Con il pom-popom della risonanza dell’altro ieri che echeggia ancora e che attende il responso nel primo giorno di primavera, Cristella si tira su il morale, con un “elogio alla creatività” che le regalò il maestro Piggì.

Beh, per stasera, direi che la mia soddisfazione l’ho avuta. Più tardi vado col Re Consorte ad uno spettacolo presentato da Andrea Mingardi.

Magari domani ne scrivo la cronaca. Sono o non sono una che “anziché una canzone, tende a comporre una sinfonia”?

Ah, grazie, Laura!

Torre Pedrera, 15 novembre 2000. Intervento di don Piergiorgio Terenzi in occasione della presentazione pubblica del libro Trama e ordito organizzata dal Circolo Ricreativo Culturale “Torre Saracena”. (Piggì è stato il mentore e maestro di giornalismo di Cristella).

Elogio della creatività

Non userò i pochi minuti che ho a disposizione per tessere l’elogio di Cristina. Non perché non sappia farlo. Penso soltanto che altri lo faranno meglio di me.
Non posso neppure azzardare un “Elogio alla follia”. In questo infatti sono stato preceduto dal buon Erasmo da Rotterdam.
Mi limiterò così a tessere l’elogio alla creatività!
La creatività è più presente fra gli umani di quanto noi stessi, in genere, siamo disposti ad ammettere. Tale creatività è una dote, un dono. Se però non viene espressa e sviluppata, da dono che è diventa peso e intralcio.
E’ come un motore che si ingolfa. Anziché andare più forte, si ferma!
Nella mia passata funzione di direttore del settimanale Il Ponte mi ero proposto, parte sul serio, parte come gioco, di fare il talent scout, lo scopritore di doti, se non addirittura talenti.
Quando si è presentata da me la Cristina, pur vedendo che, in fondo, non aveva ancora le idee chiare, ho colto in lei non solo un buon motore, ma anche una riserva enorme di carburante per tenerlo in moto per diverso tempo. Così abbiamo incominciato… Lei a proporre e io, con funzione pseudo-critica, a fare domande e a porre problemi.
Da cosa nasce cosa. Camminando s’apre il cammino… Ed è pian piano venuta fuori la Cristina che tutti noi, oggi, conosciamo.
Una critica che si fa docile. Meglio, serva della creatività.
Tenendola a questo livello, sapevo che il prodotto che ne sarebbe uscito avrebbe avuto, almeno in parte, un tono nomade, quasi zingaresco. Il nomade, come Cristina, non ama meno le persone o le situazioni che vive. Le ama in maniera aperta, diciamo integrata.
Anziché una canzone, tende a comporre una sinfonia.
L’unità stilistica e di contenuto dei vari suoni è il compito e la strada che Cristina ha già incominciato e che la condurrà ancora. Sarebbe una lacuna non piccola se dimenticassimo o sottovalutassimo il ruolo critico-propositivo del marito, ed amico, Paolo.

8 marzo 2012. Ciao, Elio.

L’ultimo saluto alla sua Viserba, in un’afosa mattina di fine agosto 2011, Elio Pagliarani l’ha rivolto col sorriso e le lacrime agli occhi. Le condizioni di salute, già precarie da un paio di anni, si erano improvvisamente aggravate e la moglie Maria Concetta Petrollo (Cetta) aveva deciso di anticipare il ritorno a Roma. Nel salire sull’ambulanza il poeta salutò l’arrivederci di un’amica (Maria) con cenno d’intesa che voleva dire: “Sì, tornerò l’anno prossimo. Aspettami!”

Per il 25 agosto alla Libreria Riminese era stata già organizzata la presentazione della sua autobiografia (“Pro-memoria a Liarosa”) che per 200 pagine ripercorre l’infanzia e la giovinezza in Romagna. Accolta con entusiasmo dall’assessore alla cultura Massimo Pulini, l’iniziativa era sostenuta dalle associazioni Assalti al Cuore e Ippocampo Viserba (in particolare Cristella), ma bisognò annullarla all’ultimo momento.

Elio e Cetta si erano dimostrati felicissimi quando, in spiaggia, Simone Bruscia di Assalti al Cuore, Maria ed io per Ippocampo, li incontrammo per definire i dettagli. Momento emozionante, che ho voluto fissare in questa foto (Simone, Cetta, Elio e Maria al tavolino del Dune Café, sula spiaggia di Marinagrande, il 7 agosto 2011).

 

La vacanza viserbese era ormai un appuntamento fisso di ogni estate e il poeta tornava volentieri nell’appartamento di via Lamarmora, nel condominio costruito negli anni sessanta al posto dell’umile casa dell’infanzia. Ultimamente non più autonomo per gli acciacchi dell’età, lo si incontrava comunque in spiaggia o in piazza al tavolino del bar. Sempre accompagnato da Cetta o da qualche amico. Chi lo riconosceva non mancava di fermarsi per un saluto e una stretta di mano.

 

“Sono rimasti pochi, ormai, gli amici viserbesi coetanei – mi diceva – I più cari se ne sono andati: Quinto Sirotti, Carlo Ardini, Enea Bernardi, Dino Belletti, Mario Pari…” Come racconta nell’autobiografia, quello con Viserba è stato un legame mai spezzato. Se n’era andato all’età di 18 anni, ma anche nella parlata, così caratteristica nel ritmo e nell’inflessione, Elio non aveva mai voluto perdere la riminesità. “Negli anni di Milano e di Roma – mi aveva spiegato Cetta in una delle tante chiacchierate – mio marito ha sempre mantenuto la cadenza romagnola e quando torniamo a Viserba riprende presto a parlare in dialetto. Si ricorda sempre quando, ragazzino, faceva il fattorino per le ville dei ricchi o quando aiutava il babbo carrettiere.”

A conferma di un affetto ricambiato, in queste ore sul profilo Facebook di Cetta giungono molti messaggi da Viserba: “Salutiamo con stima e affetto il nostro grande concittadino.”

 

Altri post su Elio:

Il “ragazzo Elio”, da Viserba

“A tratta si tirano”: la poesia di Pagliarani e i ricordi di Cristella. “E invece ha senso pensare che s’appassisca il mare”

Alcuni ricordi di Elio Pagliarani sulla Viserba degli anni 1940-1943

Il sole discreto, che non fa rumore. Omaggio a Elio Pagliarani

Viserba e dintorni nell’ultimo libro di Elio Pagliarani

V.V.V.V.: le ville dei villeggianti di Viserba e di Viserbella

C’era una volta a Viserba: Pagliarani ricorda le fole attorno all’arola

Personaggi di Viserba: il dottor Lazzarini

Le misteriose odalische di Viserba: come nei film in bianco e nero

 

 

 

 

Perché certe cose succedono solo in dialetto…

Certe cose succedono solo in dialetto” diceva Raffaello Baldini a chi gli chiedeva perché si ostinava a scrivere poesie in tale lingua e non passasse invece all’italiano.

E’ vero. Il dialetto è la lingua della pancia, quella che viene fuori spontaneamente quando ci arrabbiamo o ci emozioniamo… E’  “lingua madre” in senso puro.

La pensa così anche Francesco Gabellini, Continua a leggere