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Masha, Befana e Babushka

Sarà l’effetto “nonnitudine”, sarà che con Princess number one ha imparato qualcosa (non tanto, eh!) sull’animazione delle immagini in 3D, saranno le musiche incalzanti, di vario genere e coinvolgenti… insomma, Cristella da qualche mese è una grandissima fan della serie animata “Masha e Orso”.

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Il piccolo Federico si incanta davanti alla tv o al pc, non batte ciglio. Già da quando aveva otto/nove mesi le immagini colorate e le battute della piccola bimba russa lo affascinano. Spesso interagisce con una bella risata.

L’ideatore di Masha e Orso si è ispirato a una fiaba tradizionale russa, ma anche ad una bimba vera che durante una sua vacanza in Crimea era sua vicina di ombrellone: terribile, inarrestabile, dispettosa con tutti.

In occasione dell’ormai tradizionale uscita befanesca di Cristella (vedi foto in “Chi sono”), lo scorso 6 gennaio i bambini che hanno partecipato alla festa organizzata all’Oratorio Marvelli della parrocchia di Viserba Mare hanno saputo in esclusiva un segreto su Masha.

I loro occhi si spalancavano, mentre il racconto fantastico si sviluppava, come a dire “Sì, può essere vero; ma guarda un po’ com’è esperta di storie animate questa signora che ci vuol far credere di essere la Befana vera!”

In effetti è meno credibile la persona “fisica” di Cristella/Befana, con i suoi ottanta chili di peso, il naso senza gibbosità e il sorriso aperto e con tutti i denti, di quella raccontata nell’occasione.

Ebbene sì, diamo anche ai lettori di questo blog l’esclusiva sulla vera storia, vera vera,di Masha: la piccola bimba vestita di rosa e il suo amico Orso vivono nel bosco, così come vediamo in Tv, normalmente, tra mille avventure e dispetti e dolcezze da cucinare e pesci da pescare e case da ristrutturale una, due volte e forse ancor di più… Questa, però, è “solo” la vita quotidiana di quasi tutti i giorni. Infatti ci sono due giornate, il 5 e il 6 gennaio di ogni anno, in cui Masha e Orso fanno un salto nel tempo e… diventano ciò che sono in realtà: la Befana e il suo aiutante!

L’accostamento con la tradizione della Befana (tutta italiana) non è casuale, visto che una leggenda simile si riscontra in Russia, dove la vecchia Babushka pare essere imparentata con la nostra vecchina. E Babushka indossa gli abiti e i copricapo della tradizione, proprio come fa la piccola Masha.

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Sì si! Questa è un’esclusiva che i bimbi viserbesi hanno avuto l’onore di conoscere per primi: Masha non è altri che la Befana quand’era piccola.

Sssst… Non ditelo a nessun altro, però!

Quando la Magalotta conobbe noi rimignischi.

Era una signora elegante, fine, vestita di colori pastello. Sorridente ed aperta alle domande curiose della giornalistucola di provincia. Nell’ombra del salotto del Grand Hotel, alla richiesta di commentare la sua prima visita alla nostra città rispose: “Ma questa non è Rimini, è Cinecittà!”
Sì, ho intervistato e stretto la mano alla Gradisca felliniana, Magali Noel. Era il 26 giugno del 1998.
Mi disse che viveva in Svizzera col marito e che avevano adottato dei figli. Era una “signora”, anche perché non si dava assolutamente delle arie.
E’ triste sentire che è morta in una casa di riposo per anziani.

Oggi il Resto del Carlino ripubblica l’articolo uscito il 28 giugno 1998, frutto di quel bell’incontro.

MAGALI NOEL IL 26 GIUGNO DEL 1998 VENNE A RIMINI NEI LUOGHI DEL MAESTRO
«Che emozione vedere i luoghi cari a Federico»

Piazza San Marco, ore dodici: appuntamento con l’attrice Magali Noel all’ombra del Campanile. No, non è Venezia, ma la sua sorella minore (quella di Italia in Miniatura) ricostruita a Viserba da Ivo Rambaldi, in un certo senso emulo di Fellini. Un folto gruppo di curiosi e appassionati di cinema circonda l’elegante signora in tailleur verde-azzurro, che chiacchiera con tutti, disponibile. Il suo fascino viene anche da quel sorriso aperto, oltre che dai bellissimi occhi chiari e dal portamento ricco di classe.
Madame, che impressione le fa essere a Rimini? Lei risponde senza tentennamenti: «Sembra proprio di essere a Cinecittà!». Già perché Federico, come al solito, piuttosto che trasferire la troupe per girare ‘dal vivo’, ricreava i suoi sogni e i suoi ricordi a Roma. «L’emozione più grande? Dormire al Grand Hotel di Federico. Ma anche quella provata nel riconoscere le strade, la piazza, la fontana con la pigna sopra. Ho rivisto quei luoghi proprio come lui li aveva ricostruiti».
Il racconto della memoria, tra realtà e finzione cinematografica, è stato l’omaggio della Gradisca di Amarcord alla città del Maestro e continuerà questa sera al Novelli, in occasione della proiezione di Satyricon. «In fondo, voi ‘rimignischi’ siete molto simili a noi della Provenza interna: generosi, amanti della famiglia e del cibo buono, sarà anche per questo che con Federico c’era un bel feeling. Sono state tre feste, per me, i film girati con lui. Dico sempre che Fellini aveva un terzo occhio: quello che rideva sempre. Ho recitato con altri grandi registi come René Clair e Jean Renoir, ma lavorare con Federico era tutt’altra cosa: come stare in famiglia. Forse anche per questo, dai suoi attori riusciva a tirare fuori ciò che voleva».
Sull’onda dei ricordi la ‘Magalotta’ (così era soprannominata dal Maestro) non si ferma più: quanti episodi da raccontare. E sembra di vederli, quando lui cercava la protagonista per Amarcord. Lei, fasciata in una coperta rossa («perché Gradisca doveva assolutamente essere in rosso») che improvvisa un balletto fatto di moine e ‘sci-sci’. E lui, entusiasta per l’interpretazione della brava ‘commedienne’, che si gira e scrive sulla ‘lasagna’ (lapsus romagnol-freudiano della Noel): «E’ arrivata la Gradisca!».
Oppure le riprese nella piscina di Cinecittà trasformata per l’occasione nel mare Adriatico: passava il Rex e Gradisca doveva piangere dall’emozione. Solo che il fumo della nave andava sempre nel verso sbagliato e bisognava ripetere. «Ciak, si gira: piangere! Ciak, si rigira. E ripiangere!». E così di seguito per decine di volte. Per arrivare, finalmente alla scena col fumo giusto. E lui, tranquillo, che chiude la giornata di lavoro con una battuta che voleva essere affettuosa. «Che ragazza delicata. Dai, smetti di piangere, cara!».
E’ davvero affettuoso il ricordo che la Noel ha di Fellini, come potrebbe non esserlo?
«Più che positiva anche l’idea che si è fatta dei concittadini del Maestro. D’altronde, come detto da Silvia Rambaldi nella presentazione: «Alla Romagna e ai suoi abitanti è riconosciuta una dote in particolare. Quella di provare il piacere di far piacere». Come detto al principe ereditario (ma potrebbero essere i turisti o gli ospiti): «Gradisca!».

I figli dei signori e gli indigeni “pigliatutto”: giochi di ragazzi sulla spiaggia di Viserba

ESTERNO GIORNO.
La scena si apre sulla spiaggia assolata di Viserba in una calda giornata d’estate.
Siamo negli anni Trenta del secolo scorso, quando la “Regina delle Acque” era méta di un turismo d’élite grazie alla ricchezza di acque sorgive e alla bellezza del suo litorale. Alberghi di lusso e ville eleganti, famiglie di ricchi villeggianti che si trasferivano per tutta l’estate con la servitù al seguito, rigorosamente in divisa: chauffer, cuochi, governanti, bambinaie…
Ad accogliere i proprietari delle ville, c’erano donne e uomini del posto, sorridenti e servizievoli: le prime impegnate nei lavori di pulizia,in cucina e come lavandaie, i secondi come custodi e giardinieri.
All’inizio della stagione i figli dei “bagnanti” trovavano la spiaggia, enorme campo di gioco, già occupata dai ragazzi del posto, figli di quei viserbesi che erano a servizio dai signori…
Burdél asciutti, smaliziati, selvatici, già abbronzati, campioni in tutti gli sport all’aria aperta e anche per questo ammirati dalle ragazze.
Ma poi si diventava amici e si passava l’estate insieme, sfidandosi in gare e tornei, dove comunque i “nostri” risultavano quasi sempre vincenti.
Affido la cronaca di quei giorni spensierati a un ragazzino nato e vissuto qui: Elio Biagini (9.7.1923 – 10.9.2005), che nel libro “Racconti viserbesi” ha saputo tramandare questa e tante altre immagini della Viserba della sua infanzia e giovinezza.

“D’estate – scrive Biagini – veniva sistemato a circa duecento metri dalla riva un grande castello di legno che serviva da trampolino per tuffarsi e anche per fare la cura del sole. Questo era di fronte all’Hotel Lido. Quando era ora del bagno, si faceva una bella nuotata e si passavano diverse ore fra il tuffarsi e fare la cura del sole.”
“A Viserba la spiaggia partiva dalla Fossa dei mulini e arrivava alla via Pallotta. I bagnini erano: i Bologna “saibadoun”, i Betti “palmarì”, gli Ardini “piretta”, i Conti “zacarì” i Bernabe “Martini”, i Cevoli, i Belletti, i Botteghi “turain”, Morolli Adelmo “cul bas”, ed infine Finein e Attilio “pià”.
La zona che frequentavo io con gli amici Silvano, Enea, Bibi, Mario, Eros e tanti altri, andava dal canale alla via Milano.
Questo tratto di spiaggia era per noi: palestra, campo di calcio, campo di pallavolo, e si svolgevano delle gare a pallone che davano tanto fastidio ai gruppi di bagnanti.
Il più accanito contro di noi era il gruppo dei Meloncelli; durante la gara della partita di calcio, se il pallone arrivava in mezzo a loro, puntualmente con le forbici lo mettevano fuori uso e noi rimediavamo subito facendo un pallone con carta, stracci e tutto legato con dello spago. Finita la partita, di corsa all’ombra delle cabine, “i capan”, che ogni inizio stagione ogni famiglia di Viserba installava dove ora sorgono le cabine di cemento.
Ogni tanto in riva al mare si costruiva un circuito, tipo circuito automobilistico, e dentro di esso si facevano le gare, facendo correre delle palline colorate, che noi chiamavamo “i zizli”, e anche in queste gare noi Viserbesi eravamo sempre i più bravi rispetto ai figli dei signori.
Per fare correre le palline imprimevamo ad esse un “sbargnocli”: si appoggiava il dito medio contro il pollice e con forza si imprimeva la velocità alla pallina; il più forte di tutti noi era Pierino Betti, il bagnino; qualche volta tagliavo per primo anch’io il traguardo; ma mai permettevamo che vincesse un bagnante.
Quando, a forza di correre, ci veniva sete, di corsa si andava in via Milano angolo via Bezzecca, dove ora sorge un condominio, lì c’era un pozzo artesiano dove fuoriusciva un getto d’acqua lungo alcuni metri e dopo aver fatto una bella bevuta ristoratrice, si faceva anche la doccia.
Quando al mattino era ora di fare il bagno si andava dalla Esterina Betti per avere in prestito le zucche fiasche per imparare a nuotare. Allora non esistevano i materassini, canotti e bracciali per stare a galla; ma due zucche legate con una corda che ci mettevamo attorno alla vita e con quelle si stava a galla e si imparava a nuotare. Mi ricordo che in casa Betti nel giardino, vi erano tante di queste zucche! In settembre si raccoglievano, in inverno perdevano tutto il loro peso e in primavera rimaneva solo il guscio con dentro le semenze.
Questa trasformazione le rendeva così leggere che permettevano a una persona di stare a galla.
(…)
Noi ragazzini, i “burdell” di Viserba, eravamo i galli della spiaggia. Quando arrivavano i primi bagnanti, noi eravamo già color cioccolata e i nostri coetanei ci guardavano con un po’ di invidia. Sapevamo nuotare, remare, andavamo sopra le cabine e ci gettavamo a terra facendo il salto mortale riscuotendo ammirazione e rispetto. Avevamo per amici Giorgio e Nico, formidabile giocatore di pallone, Piovesan; Carlo e Luciano Antinori, i fratelli Gavioli e i fratelli Zanfi di Modena, i Fabbri, i fratelli Rossi di Carpi, i Mantegazza di Milano, i Cremonini di Modena, formidabili giocatori di Tamburello, che mettevano a dura prova Bibi, Silvano, Enea e Silvano Torri. Il campo da gioco andava dalla Fossa dei mulini alla via Piacenza e per delle ore si sentiva il ritmo della palla che batteva sul tamburello e a fine gara, con una stretta di mano, si rimandava ad un’altra partita al giorno dopo.
Ogni tanto si organizzava una scappatella oltre i confini di Viserba, per confini si intendeva la Fossa dei mulini, si faceva un bel gruppo e, via, verso “e Surcioun”, le sabbie mobili di Viserbella, che erano recintate a cerchio da un muretto di cemento. Su queste sabbie mobili si raccontava che avessero inghiottito un carro con dei buoi. Noi ci divertivamo a gettare sassi e questi venivano inghiottiti dal ribollire delle acque; la nostra fantasia correva con i sassi che venivano inghiottiti credendo di trovare negli abissi il carro di buoi. …

Focarina, fogheraccia, fugaràza: sempre fuoco (e festa) è…

fogheIn tutta la Romagna, e Rimini non fa eccezione, in questo periodo cominciano a vedersi, qua e là, dei mucchi di sterpi e di legna che crescono in altezza di giorno in giorno.

Non solo in aperta campagna: basta uno spiazzo libero dai condomini, una piazza o un cortile di parrocchia. Va di moda, ma non era così fino a qualche anno fa, anche la spiaggia.

Cosa succede?

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“Dacché sono costì…”

Come i collezionisti più appassionati, gli amici dell’associazione Ippocampo (di cui sono socia fondatrice e attiva) sono capaci di passare serate intere a guardare e riguardare vecchie fotografie e cartoline alla ricerca di ogni particolare che possa aiutare a ricostruire la memoria dei luoghi e delle persone.
Nel vastissimo archivio di immagini raccolte fino ad oggi (di cui molte a disposizione di tutti, pubblicate nel sito www.ippocampoviserba.it) ci sono scatti e vedute che basterebbero a creare un’enciclopedia o una lunghissima serie di filmati. Patrimonio non solo visivo, ma anche testuale, se non altro per le storie che certe inquadrature ispirano. Oppure, come spesso succede, proprio per le parole scritte su foto e cartoline, che rimandano a persone con nomi e cognomi, a date ben precise, a luoghi e avvenimenti.
Fra le tante cartoline d’inizio Novecento ce n’è una spedita da Viserba nell’estate del 1909.
“Viserba. Corderia meccanica” è il titolo tipografico che descrive l’immagine in bianco e nero dell’allora famosa fabbrica “Dossi Giuseppe” (come scritto sull’edificio sulla sinistra). Ma la curiosità più intrigante è il lungo messaggio vergato a mano nella parte chiara della foto, che evidentemente voleva essere un “post scriptum” a quanto indicato sull’altro verso.

fronte
Ecco cosa scrive “zia Angioletta”, la mittente del saluto viserbese:
“Gentilissima Signora Carolina, Perdonerà se sono un po in ritardo a rispondere alla graditissima sua cartolina inviatami solo ora dall’Anita. Grazie a Lei e signorina Felicina de’ suoi cari auguri. Dacché sono costì mi sento molto meglio di salute e mangio con più appetito: presto verrà anche Anita che la desidero tanto, ora sono sola con Renzo.”
Sul retro, oltre al timbro postale “VISERBA (FORLI) 18 – 7 – 09”, la stessa grafia d’altri tempi continua con l’indirizzo del destinatario: “Gentil Signora Adelaide Colombo Sartore, Casa Orelli, Rodi Fiesso (Svizzera), Linea del Gottardo”.

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Anche il testo del messaggio è creativo: scritto in tutto lo spazio a disposizione, con tre righe aggiunte in alto ma capovolte rispetto al verso della cartolina.
“Carissima, grazie delle tue buone notizie, che speriamo ed auguriamo sempre buone; non diventare però la ‘donna cannone’. Noi tutti bene, qui ci troviamo colla solita amabile compagnia e quindi bene, avevamo un tempo un po’ autunnale, ora però sembra, purtroppo, che metta giudizio regalandoci un caldo che fa desiderare e invidiare il tuo soggiorno. Viserba è diventata una stazione balneare veramente scich e molto frequentata. Tanti saluti a Vito, baci a Carluccia e baci affettuosi a te dalla tua affez. Zia Angioletta.”
Sorridendo un po’ su quel “scich” vergato e poi corretto, che denota qualche dubbio sulla sua esattezza, ecco che, dopo più di un secolo, questo documento ci conferma che Viserba nel giro di pochi anni ha avuto uno sviluppo turistico fuori dal comune (“è diventata una stazione balneare veramente scich e molto frequentata”) e che era apprezzata per le virtù salutari e curative (“Dacché sono costì mi sento molto meglio di salute e mangio con più appetito”).
La nostra cronista d’antan è lei, la Zia Angioletta, che con la sua semplicità e spontaneità percepisce quanto poi documentato sullo sviluppo della Viserba balneare dagli storici più referenziati.