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La cucina di Cristella: oggi cassoncini con le erbe di campagna

“E’ la stagione giusta per una bella passeggiata in campagna, con coltellino e cesto al seguito, per raccogliere le erbe commestibili.”

Beh, lo confesso: questo è rimasto, per ora, solo uno dei tanti “buoni propositi”. Ma avendo da tempo in mente un progetto culinario del sabato ben definito (cioè, avete presente quando una, stressata dal lavoro d’ufficio della settimana, nel week end si rilassa pulendo casa e cucinando a più non posso?), le erbette le sono andate a comprare dal mio amico Andrea, il fruttarolo poeta di Viserba.

Già scelte, una bella sportina piena. Sono solo da pagare, lavare e cucinare.

Quindi, attrezzata con tulìr, s-ciadùr e parananza, ecco che mi sono rilassata preparando per il web i miei “cassoncini romagnoli di primavera“.

 

 

 

 

 

 

Premetto che, rispetto alla preparazione dei classici cassoni (che uno da solo è una porzione che fa cena) si impiega un po’ più di tempo. Si tratta, infatti, di una versione mignon, adatta anche per aperitivi o merende della tradizione.

Come mostrano le foto ho usato due farciture diverse: una con le erbe e l’altra con pomodoro e mozzarella. Ma le varianti possono essere altre: salsiccia e patate, erbe e formaggi, eccetera eccetera.

Certo che il classico dei classici, quello che ricorda il sapore di mamma e di infanzia, rimane quello con le erbe di campagna e con solo rosole.

Ecco, dunque, la mia ricetta, documentata con foto.

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8 marzo 2012. Ciao, Elio.

L’ultimo saluto alla sua Viserba, in un’afosa mattina di fine agosto 2011, Elio Pagliarani l’ha rivolto col sorriso e le lacrime agli occhi. Le condizioni di salute, già precarie da un paio di anni, si erano improvvisamente aggravate e la moglie Maria Concetta Petrollo (Cetta) aveva deciso di anticipare il ritorno a Roma. Nel salire sull’ambulanza il poeta salutò l’arrivederci di un’amica (Maria) con cenno d’intesa che voleva dire: “Sì, tornerò l’anno prossimo. Aspettami!”

Per il 25 agosto alla Libreria Riminese era stata già organizzata la presentazione della sua autobiografia (“Pro-memoria a Liarosa”) che per 200 pagine ripercorre l’infanzia e la giovinezza in Romagna. Accolta con entusiasmo dall’assessore alla cultura Massimo Pulini, l’iniziativa era sostenuta dalle associazioni Assalti al Cuore e Ippocampo Viserba (in particolare Cristella), ma bisognò annullarla all’ultimo momento.

Elio e Cetta si erano dimostrati felicissimi quando, in spiaggia, Simone Bruscia di Assalti al Cuore, Maria ed io per Ippocampo, li incontrammo per definire i dettagli. Momento emozionante, che ho voluto fissare in questa foto (Simone, Cetta, Elio e Maria al tavolino del Dune Café, sula spiaggia di Marinagrande, il 7 agosto 2011).

 

La vacanza viserbese era ormai un appuntamento fisso di ogni estate e il poeta tornava volentieri nell’appartamento di via Lamarmora, nel condominio costruito negli anni sessanta al posto dell’umile casa dell’infanzia. Ultimamente non più autonomo per gli acciacchi dell’età, lo si incontrava comunque in spiaggia o in piazza al tavolino del bar. Sempre accompagnato da Cetta o da qualche amico. Chi lo riconosceva non mancava di fermarsi per un saluto e una stretta di mano.

 

“Sono rimasti pochi, ormai, gli amici viserbesi coetanei – mi diceva – I più cari se ne sono andati: Quinto Sirotti, Carlo Ardini, Enea Bernardi, Dino Belletti, Mario Pari…” Come racconta nell’autobiografia, quello con Viserba è stato un legame mai spezzato. Se n’era andato all’età di 18 anni, ma anche nella parlata, così caratteristica nel ritmo e nell’inflessione, Elio non aveva mai voluto perdere la riminesità. “Negli anni di Milano e di Roma – mi aveva spiegato Cetta in una delle tante chiacchierate – mio marito ha sempre mantenuto la cadenza romagnola e quando torniamo a Viserba riprende presto a parlare in dialetto. Si ricorda sempre quando, ragazzino, faceva il fattorino per le ville dei ricchi o quando aiutava il babbo carrettiere.”

A conferma di un affetto ricambiato, in queste ore sul profilo Facebook di Cetta giungono molti messaggi da Viserba: “Salutiamo con stima e affetto il nostro grande concittadino.”

 

Altri post su Elio:

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Quando l’abbronzatura non era di moda. Il primo giorno di marzo in Romagna e fra le dune di Viserba.

Si sa: la pelle abbronzata un tempo identificava la persona costretta a lavorare all’aperto e alle intemperie. Guai!

Le signorine di città si riparavano dal sole con vezzosi cappellini e ombrelli di varie fogge, mentre le ragazze campagna si affidavano ad alcuni “scongiuri” che la tradizione fissava in una data ben precisa del calendario: il primo marzo.

Un appello al sole dispettoso: “cuocimi qui e non cuocermi il volto”.

Ecco due brani che spiegano questa curiosa usanza.

Usi e pregiudizi del primo giorno di marzo (da “Parché l’àn nòv u t’azuva, e’ prem dl’àn màgna l’uva”, Agenda storica 1999, a cura di Maurizio Matteini Palmerini. Pietroneno Capitani Editore Rimini).

“I contadini e le contadine per preservare la pelle dai danni del sole e del vento avevano escogitato un originale rituale. Nel primo giorno di marzo si denudavano il sedere “affinché dal morso della cottura estiva resti immune altrove che è, in passione, prerogativa gelosa della bellezza“.

Offrivano il deretano al sole mattutino esclamando al mondo:

“Sol d’merz cusum e cul e no cusr etar” (Sole di marzo, cuocimi il culo e non cuocermi altro).

Gli uomini salivano fin sul tetto della casa. Le donne invece mostravano la carne delle natiche, più pudicamente, da una finestra.

IL PRIMO MARZO

(da ‘Un cassetto in fondo al cuore ‘ di Tecla Botteghi, testo raccolto da Emanuela Botteghi, associazione Ippocampo Viserba)

Pirinela sora i cop, e fa veida e cul ma tot.

Il primo marzo attendeva da tutti una cerimonia importante dedicata all’inizio del bel tempo. Per scongiurare pericolose scottature,carnagione troppo scura,dannose insolazioni,si doveva mostrare ‘e cul ma merz‘. Continua a leggere

Ah, questi viserbesi! Vogliono contare, ma non… farsi contare

Mi appello al diritto del giornalista di non svelare la fonte dell’informazione ricevuta e vengo presto al dunque: il 31 gennaio è l’ultimo giorno utile per consegnare i moduli del censimento.

E, sapete quale zona di Rimini è – fino ad ora – fra le più restìe ad “ottemperare”? Sì, la nostra bella Viserba.

Sulle motivazioni si potrebbe discutere per giorni, approfondendo storia, geografia, demografia e sociologia.

Ma, visti i tempi ormai brevi, Cristella lancia ai lettori un piccolo appello. Forza: non è difficile, costa nulla (anzi, sono previste sanzioni per chi non lo fa!), se si ha qualche incertezza i rilevatori incaricati dal Comune danno una mano (e sono pure gentili, fra di loro alcuni cari amici…).

Capito, viserbesi vecchi e nuovi?

Per saperne di più, ecco il sito del Comune di Rimini.

 

Da chi Zuclòn: il perché e il percome della nuova insegna sulla via Sacramora

Avere una pizzeria-ristorante praticamente in casa? Certo che per una che è in dieta perenne questa non è proprio la situazione migliore!

Ad ogni modo, l’apertura del nuovo locale, avvenuta in queste settimane, ha il significato di una “botta d’orgoglio” – a dirla con le parole del maestro Silvano – per Viserba e per la zona Sacramora in particolare.

via Sacramora 47 - Viserba di Rimini - tel. 0541 734737

 

 

 

 

 

 

 

Non è per interesse personale che racconto la storia dell’avventura imprenditoriale che parte praticamente da casa mia, ma proprio perché penso che in questi tempi in cui la gente guarda al futuro con incertezza e grigio negli occhi, sia veramente importante trovare chi invece ci mette del suo e si rimbocca le maniche.

Vediamo , allora, di conoscere meglio questi Zuclòn, che hanno acceso una nuova luce sulla via Sacramora. Continua a leggere