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La Befana delle Befane

No, non è un gioco di parole. Domani pomeriggio, in occasione dell’estrazione dei biglietti della lotteria dello Ior (Istituto Oncologico Romagnolo), al Centro Commerciale ‘Le Befane‘ di Rimini, per intrattenere i più piccoli ci sarà una signora travestita da Befana.

Con la sua scopa di saggina, lo scialle di lana, il fazzolettone e la lunga sottana con le tasche colme di caramelle.

La sedia a dondolo la porteranno gli amici per farla riposare (dopo la nottata di lavoro, è indispensabile, eh…). Lei, invece, porterà con sé un cesto pieno di gomitoli di lana colorata, per fare con l’uncinetto le roselline che andranno a formare le coperte magiche, e una grande sporta con le storie che Cristella ha scritto in questi ultimi anni ogni 6 gennaio.

Eh, sì. Avete indovinato: à Riminì, la Befanà, c’est moi!

Non posso anticiparvi la storia che racconterò domani, perché i bambini che verranno alla festa devono essere i primi ad ascoltarla.
Posso solo svelare un particolare: questa volta Regina Cristella è stata aiutata dalla Duchessa Maristella, cioè la signora Marina, madre di Diego e Gabriel, che nella vita di tutti giorni è un’imprenditrice artigiana di Viserba.

Ah, se volete capire il senso del titolo di questo post, potete leggervi la favola che avevo scritto l’anno scorso.

La Befana delle Befane
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“Voglio trovare un senso a questa vita…”

Il leone che sa”, così viene chiamata Marilena Pesaresi, medico chirurgo riminese che da 44 anni opera in Africa dedicando la sua vita agli ultimi. Nel 2003 la dottoressa Pesaresi è stata eletta “Donna dell’anno” e un mese fa, a Roma, è diventata Commendatore della Repubblica Italiana. Quest’ultima notizia è passata in sordina. La dottoressa Pesaresi non ama la ribalta.

Pragmatica per forza, abituata alle emergenze quotidiane della sua missione, a Mutoko nello Zimbawe, sente il peso degli anni. “Sono stanca – ha detto recentemente – Sto pensando di ritirarmi, anche se lo faccio a malincuore, perché in Africa ho passato un periodo meraviglioso della mia vita.”

A 75 anni compiuti, di cui più della metà trascorsi nella sua Africa, “il leone che sa” pensa di non farcela più a seguire l’ospedale da lei fondato che oggi è un punto di riferimento per tutti i malati di cuore dello Zimbawe.

Quando, la scorsa settimana, ha presentato a Rimini i dati dell’Operazione cuore, Marilena ha detto: “Lottare per gli umili, abbattere tante barriere come ha fatto don Oreste Benzi, non significa fare della carità. Si tratta, semplicemente, di giustizia.”

Il progetto Operazione cuore da più di vent’anni consente ai malati assistiti dall’ospedale di Mutoko di potersi operare in Italia. In questi anni l’hanno già fatto 170 persone. Nel 2007 i bambini e i ragazzi operati a Rimini e Bologna grazie a Operazione cuore sono stati 13. Tutto questo grazie al filo diretto con Rimini, in primo luogo con la Diocesi e col fratello cardiologo Antonio Pesaresi. Fondamentale il sostegno della Regione, dell’Ausl e ultimamente anche del Ministero della Salute. Sono molte le famiglie riminesi che aprono la loro casa per ospitare i bambini che giungono in Italia per Operazione cuore e i loro accompagnatori.

Due anni fa ho conosciuto una ragazzina ricoverata a Rimini. Ero andata al Reparto di Pediatria con l’intenzione di far trascorrere qualche ora ai piccoli malati raccontando le favole di Cristella. L’impatto con la tristezza dei bambini è stato forte: c’era E., senza capelli per la chemio, che non aveva proprio voglia di sorridere, nonostante le insistenze della mamma e di questa sconosciuta signora che voleva raccontargli delle storie. C’era anche J., dall’età indefinita fra i 10 e i 14 anni, occhi e pelle nerissimi, accompagnata dalla nonna. La mamma era rimasta in Africa a badare al resto della famiglia. J., silenziosa, quasi adulta, coccolata e viziata da medici e infermiere. Più che dai libri, era attirata dalla televisione. Dopo due volte, non ce l’ho fatta più a tornare lì come raccontatrice di favole: quei bambini ne avrebbero potuto raccontare tante, a me, invece! Qualche mese dopo quella mia esperienza, proprio nel periodo di fine d’anno, ho letto su un manifesto appeso nel centro della città che J. non ce l’aveva fatta e che la silenziosa nonna era tornata a casa senza poterla portare con sé dalla sua mamma.

Si tratta di giustizia, non di carità.

Giustizia vuol dire anche che il Natale, come ci ha ricordato il nostro vescovo Francesco, non è solo il 25 dicembre di ogni anno, ma è tutti i giorni. Pensando all’Operazione cuore e a tutti coloro che vanno oltre al “buonismo in salsa dolce” di questo periodo, invito anche i lettori laici a meditare sul messaggio di Monsignor Lambiasi pubblicato sul settimanale Il Ponte. Il Vescovo cita Shakespeare – “Se il Natale non è, io non sono” – ma anche due cantautori contemporanei. Il primo, Vasco Rossi – “voglio trovare un senso a questa vita, anche se un senso non ce l’ha” – per smentirlo: la vita un senso ce l’ha, eccome.

L’altro, invece, spiega il Vescovo, è per ricordare che Natale è tutti i giorni.

“Un messaggio che qualche anno fa Luca Carboni ha inserito in una sua canzone: o è Natale tutti i giorni, o non è Natale mai. E’ interessante che i Vangeli non ci riportino la data precisa del Natale, il giorno e il mese preciso. Ci danno qualche indicazione di massima per l’anno, ma per quanto riguarda il giorno e il mese non c’è nulla. E i primi cristiani hanno scelto il 25 dicembre perché si faceva la festa pagana al Sole Invincibile, perché era appunto la festa del dio Sole. I cristiani hanno scelto quel giorno, ma questa è una cosa proprio bella perché sta a dire che ogni giorno può e deve essere Natale. E allora – conclude il Vescovo – mi sento appunto di augurare con le parole di Luca Carboni che sia Natale tutti i giorni, perché allora il 25 dicembre noi lo celebriamo appunto non perché sia Natale solo in quelle 24 ore ma perché sia Natale anche il 26, 27, 28 dicembre e così via”.

Buon Natale a tutti!

Ma che domenica bestiale!

Domani, domenica 25 novembre, qui dalle mie parti ci sono diverse occasioni di incontro a cui non vorrei assolutamente mancare.

Ad alcune di queste ho partecipato negli anni passati e so con certezza che varrebbe la pena esserci di nuovo. Altre sono nuove e perciò mi incuriosiscono.

Il problema, piccola quisquilia, è che… quest’anno sono tutte in contemporanea, più o meno alla stessa ora! A meno che fra oggi e domani la bacchetta magica di Regina Cristella non riesca a fornire a Maria Cristina il dono dell’ubiquità, quest’ultima dovrà assolutamente fare una scelta.

Ecco, nell’ordine, gli appuntamenti a cui vorrei essere.

Viserbella, ore 15

Al Museo della Piccola Marineria e delle Conchiglie, per Musei Aperti 2007, canzoni e poesia marinare della nostra costa, con la partecipazione di Adriano Barberini e Guido Lucchini. Seguirà degustazione di pesce azzurro (!).

Rimini, ore 16

Al Teatro Novelli “All in music”, concerto di Natale organizzato dall’Ordine dei Medici della Provincia di Rimini e da RiminiAil. Fra gli altri, si esibisce anche un gruppo musicale di medici del nostro ospedale, con, alla batteria, un caro amico di famiglia, tale Renzo Imola (per correttezza d’informazione, lui non è medico, ma imprenditore artigiano).

Rimini, ore 16

Alla Sala degli Archi di piazza Cavour viene presentata la guida Andar per vini nei colli di Rimini, iniziativa promossa dalla Commissione Attività Economiche e Turismo del mio quartiere. Alle 17 seguirà degustazione di vini e di prodotti tipici (!!).

Rimini, ore 17

Alla sede della Provincia di Corso d’Augusto 231, nell’ambito della Giornata internazionale contro la violenza alle donne, ci sarà l’inaugurazione di una mostra di artisti locali a cui seguirà, alle 18, lo spettacolo Cuori di donna di Maila Ermini. Al termine dello spettacolo verrà offerto un buffet (!!!). Da segnalare che alle 20.30 le opere offerte dagli artisti saranno messe all’asta. Il ricavato andrà per un fine che condivido al mille per mille: la costruzione di una casa di accoglienza laica, qui a Rimini, per le donne vittime di violenza (che sono tante, più di quante si possa immaginare!).

Dunque, mentre sono ancora molto indecisa sul da farsi, provo a organizzare una tabella di marcia che mi consenta di fare un salto un po’ qui, un po’ là…

Mumble mumble…

Una cosa è certa: fra il pesce azzurro dei marinai, la degustazione dei sommelier e il buffet rosa domani non resterò di certo a stomaco vuoto.

Lunedì, giorno dedicato ai buoni propositi dietetici, magari vi racconto com’è andata la mia domenica ubiqua.

Chi non canta con Lady Oscar, invidia lo colga!

In una calda sera di luglio, la scorsa estate, mi sono ritrovata a cantare insieme ad altri “luloni” come me le canzoni delle sigle dei cartoon che andavano in televisione una trentina d’anni fa. 

Era alle Celle, per la tradizionale festa per i bambini riminesi organizzata dalla Banca del Tempo del Quartiere 5. 

Quando hanno iniziato a suonare i musicisti invitati per quella sera, i ragazzini si sono subito seduti di fronte al palco, con le mani ancora impiastricciate dallo zucchero filato, mentre i genitori si posizionavano intorno, un po’ all’ombra. Tutti incuriositi per quei personaggi in costume, truccati e imparruccati come gli eroi della Tv, che con chitarre e tastiere si preparavano ad animare la festa. Dopo un paio di canzoni non si capiva chi, tra piccoli e grandi, stava divertendosi di più.  Avete presente gente dai quarant’anni in su segnare il tempo coi piedi e con le mani cantando a memoria la canzone di Ufo Robot? 

                                                    Si trasforma in un razzo missile, 

con circuiti di mille valvole, 

tra le stelle sprinta e va! 

Ufo Robot! Ufo Robot!

Avete presente Capitan Harlock? E’ Marco, chitarrista e cantante. E Tigerman? E’ Paolo, cantante e leader della band. Dentro la tuta rossoblu di Spiderman c’è Piersante, tastierista e vocalist. Il giustiziere Zorro, anche se mascherato, l’ho riconosciuto: è il chitarrista viserbese William. Sotto la chioma bionda di Lady Oscar, sorride Helga, brava cantante e moglie, mi pare, di Capitan Harlock. Goku è Stefano, il percussionista. Al basso elettrico c’è Carlo, che con un berretto in testa si trasforma in Carletto, il principe dei mostri. 

Finalmente, in quella bella serata, ho capito cosa fosse una Cartoon Cosplay Band.

L’ho imparato conoscendo dal vivo la Flotta di Vega (che “ha la sua astronave madre parcheggiata a Rimini”, come viene specificato nel sito con blog incorporato).  I componenti della Flotta di Vega sono degli adulti seri e rispettabili (almeno così sembra…) che uniscono la passione per la musica con quella per i cartoni animati e per le serie Tv che hanno amato da giovani. Operai, impiegati, padri (e madri) di famiglia.

Hanno partecipato al Cartoon Club, manifestazione che si organizza a Rimini da diversi anni, e ultimamente al Lucca Comics, altro evento clou per fumettomani & co. Ogni volta suscitando curiosità e meritando applasi. 

Li potete vedere e ascoltare qui. Se vi vergognate a chiamarli per animare le vostre, di feste, potete far credere che li volete per i bambini del quartiere o della parrocchia. O per il compleanno dei vostri figli, perché no. L’importante è che non dimentichiate di invitare anche genitori e zii: ve ne saranno grati, perché saranno quelli che apprezzeranno di più! 

A me piacciono perché: sono di Rimini, sono bravi cantanti e strumentisti, mi fanno ricordare l’adolescenza, fanno divertire i bambini ma anche i genitori e i nonni, si esibiscono rigorosamente dal vivo e a scopi benefici. 

Mi sono simpatici anche perché quando ci sono loro realizzo di non essere l’unica “lulona” che ogni tanto sa gioire, nonostante il grigiore e i problemi della quotidianità adulta. 

Visto che ci sono, vi segnalo anche Memoria bambina, un interessante sito (che mi ha fatto conoscere la mia amica blogger Marina Garaventa, la Principessa sul Pisello) che raccoglie le canzoni delle sigle Tv, dei telefilm, delle pubblicità che hanno fatto parte della nostra vita: da Orzowei a Donna Rosa, da Happy Days a Furia cavallo del west… 

E chi non ride e canta con noi, rabbia (e invidia) lo colga!     

 

Da oggi Rimini è un po’ più povera

Questa notte il grande cuore di don Oreste Benzi, il “prete dalla tonaca lisa”, s’è fermato per sempre.
Ho appena sentito la notizia alla radio.
Di sicuro i notiziari delle prossime ore e i giornali di domani dedicheranno fiumi di parole al “don”.
Io lo voglio ricordare con alcune delle parole che nel 1999 mi regalò per il mio libro “Trama e ordito, mamme che tessono la vita”:

I miei genitori appartenevano
a quella categoria di persone
che ritiene talmente di non valere nulla,
che sembra sempre

chiedere scusa di esistere.

Ciao, don Oreste, hai lasciato una grande eredità.

Da “Trama e ordito, mamme che tessono la vita”
L’amarcord di don Oreste: una chiacchierata su tela e mamme.

Don Oreste Benzi è nato nel 1925 a San Clemente, un piccolo paese collinare a 20 chilometri da Rimini, da una povera famiglia di operai, settimo di nove figli. E’ entrato in seminario a 12 anni. Ordinato sacerdote nel 1949, ha vissuto e vive tuttora un’intensa esperienza di “prete di strada”. Sempre in mezzo agli ultimi: handicappati, tossicodipendenti, prostitute, ammalati psichiatrici. E’ il “don” della comunità “Papa Giovanni XXIII” (166 case-famiglia e 27 comunità terapeutiche sparse in tutto il mondo).

Sì, anche mamma Rosa ha fatto tanta tela, nella sua vita. La ricordo con la connocchia in mano, nelle veglie operose, d’inverno, al caldino della stalla. Per tessere, si avvaleva del telaio comune che c’era a San Clemente: era troppo povera per averne uno tutto suo! Ricordo che i fasci di canapa venivano portati a macerare nel fiume Conca… Era sempre allegra, mia mamma. Cantava spesso, anche nelle avversità. Ripeteva: “Non si muove foglia, che Dio non voglia”. Mamma Rosa e babbo Achille ci hanno insegnato ad affrontare la vita con gioia. Quand’ero piccolo mi piaceva fare i lavori di campagna. Al mattino mi alzavo presto, verso le cinque, per andare a fare l’erba per i conigli e per la mucca. Poi andavo a lavorare con il babbo e con la mamma nel piccolo campo che avevamo. Ci si svegliava nella gioia e si viveva nella gioia, in una grande povertà. Quando il babbo andava a lavorare, al suo ritorno noi gli andavamo sempre incontro sulla strada principale che, attraverso un sentiero, portava a casa. Delle volte capitava che riportasse a casa quel po’ di cibo che si era portato dietro al lavoro: per noi era gran festa! Spesso non c’era nulla da mangiare: ricordo solo il pianto, la sera, perché avevamo fame. Allora lo dicevamo alla mamma e lei faceva scomparire anche la sofferenza per il poco cibo. I periodi brutti in casa erano quando il babbo non trovava lavoro e perciò non c’erano i soldi per comperare il grano da portare al mulino per fare la farina. Il babbo, in quei periodi, andava tutti i giorni a cercare lavoro. Per lui era un incubo tornare a casa e dire: “Non l’ho trovato”. Sono i ricordi più dolorosi della mia vita: da quelle esperienze nasce il mio senso della giustizia. Ricordo la parola (signoracci). Erano i proprietari terrieri, chiamati così in senso dispregiativo (“loro hanno tutto, noi non abbiamo niente”). Nella mia mente di bambino i formavano una casta: quelli che possono tutto, padroni della vita degli altri. I miei genitori, invece, appartenevano a quella categoria di persone che ritiene talmente di non valere nulla, che sembra sempre chiedere scusa di esistere. Quando incontro il povero, l’ultimo, il disperato, il barbone della stazione, la prostituta, in me si rifà presente l’immagine dei miei che pensavano di non valere nulla. Per questo non mi metto mai dalla parte dei potenti, ma dalla parte dei “nessuno”, di quelli che la società non fa esistere.