Stefano Benassi: a Rimini un premio letterario per ricordare un grande Maestro di scrittura

“Prima di pensare di saper scrivere bene, si deve imparare a leggere”. Per chi ama scrivere. Per chi pensa che spesso l’immaginazione supera la realtà. Per chi ogni tanto inforca gli occhiali della fantasia e ama raccontar storie.

Per tutti loro (per tutti noi) c’è una bella occasione: il concorso internazionale di narrativa “Premio Stefano Benassi” organizzato da Università Aperta “Giulietta Masina e Federico Fellini” di Rimini. Continua a leggere

La cucina di Cristella: oggi cassoncini con le erbe di campagna

“E’ la stagione giusta per una bella passeggiata in campagna, con coltellino e cesto al seguito, per raccogliere le erbe commestibili.”

Beh, lo confesso: questo è rimasto, per ora, solo uno dei tanti “buoni propositi”. Ma avendo da tempo in mente un progetto culinario del sabato ben definito (cioè, avete presente quando una, stressata dal lavoro d’ufficio della settimana, nel week end si rilassa pulendo casa e cucinando a più non posso?), le erbette le sono andate a comprare dal mio amico Andrea, il fruttarolo poeta di Viserba.

Già scelte, una bella sportina piena. Sono solo da pagare, lavare e cucinare.

Quindi, attrezzata con tulìr, s-ciadùr e parananza, ecco che mi sono rilassata preparando per il web i miei “cassoncini romagnoli di primavera“.

 

 

 

 

 

 

Premetto che, rispetto alla preparazione dei classici cassoni (che uno da solo è una porzione che fa cena) si impiega un po’ più di tempo. Si tratta, infatti, di una versione mignon, adatta anche per aperitivi o merende della tradizione.

Come mostrano le foto ho usato due farciture diverse: una con le erbe e l’altra con pomodoro e mozzarella. Ma le varianti possono essere altre: salsiccia e patate, erbe e formaggi, eccetera eccetera.

Certo che il classico dei classici, quello che ricorda il sapore di mamma e di infanzia, rimane quello con le erbe di campagna e con solo rosole.

Ecco, dunque, la mia ricetta, documentata con foto.

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Alla scoperta dell’arte della mia città

Ci passo davanti, a piedi o in bici, almeno due volte al giorno.  Le loro imponenti fiancate fanno parte del panorama del tragitto quotidiano (ambedue – che coincidenza – hanno la facciata col portone d’ingresso in posizione defilata rispetto a quanto fosse in origine.

Sono la chiesa dei Servi (Santa Maria in Corte), in corso d’Augusto, e la chiesa di Sant’Agostino (Santi Giovanni Evangelista e Rocco), in via Cairoli.

Oggi, finalmente, mi sono regalata il tempo per andarne a conoscere l’interno. Senza fretta e con qualcuno che spiegasse.

L’occasione è stata la XX giornata Fai di primavera (che si ripeterà anche domani, domenica, dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18) che a Rimini si intitola “Arte e Architettura a confronto dal ‘300 a oggi: la chiesa di Sant’Agostino e la chiesa dei Servi”.

Che dire? Oltre alla meraviglia per le opere d’arte che fanno parte del patrimonio semi-nascosto della nostra città, un po’ di rabbia di come parte di queste vengano trascurate e di quanto bisogno abbiano di essere rispolverate (letteralmente! dovreste vedere la “quadreria” posta in un corridoio del vecchio chiostro dei Servi!), salvaguardate, restaurate e… pubblicizzate.

Bravissimi gli “apprendisti ciceroni” che hanno accompagnato i numerosissimi visitatori spiegando con competenza  le meraviglie contenute nelle due chiese.  Complimenti davvero agli studenti del Liceo Classico “Giulio Cesare”, del Liceo di Scienze Sociali “Manara Valgimigli”, del Liceo Scientifico-Artistico “Alessandro Serpieri”, del Liceo Statale “Volta-Fellini”  di Riccione.

Vedere dei giovani così competenti e appassionati rinfranca il cuore.

 

 

 

 

In dialetto si dice meglio: u t’è arvànz un pò ad rusghìn?

Osta, quanti rusghini ci sono nell’aria, nella politica non solo riminese…

Rusghìn, cioè rosichino, da rosicare (così lo definisce Gianni Quondamatteo); irritazione della gola.

Quel qualcosa che si sente in gola, vuoi alla vigilia dell’infiammazione, vuoi perché è asciutta, vuoi perché si sono ingeriti cibi grassi. Ed è per quest’ultima ragione che si dice “dam da bév” (dammi da bere) oppure “dam un pèz ad méla, ch’a manda zò e’ rusghìn” (dammi un pezzo di mela, in modo che riesca a mandar giù il rosichino).

Ma rusghìn significa anche quel che resta dell’astio, del risentimento: “l’ha ancora una muliga ad rusghìn, l’ha un rusghìn ch’un vò andè zò” (ha ancora un po’ di rosichino, ha un rosichino che non riesce a mandar giù).

 

Un buon motore, ma anche una riserva enorme di carburante per tenerlo in moto…

Basta poco, a volte, per ripercorrere con la mente anni e anni della tua vita, con i suoi dolori e le gioie, le incertezze e le scelte…

Appena mezz’ora fa, grazie ad un incontro casuale sulla piazza di Facebook, una nuova “amica” mi ha portato per mano a rivivere un periodo molto particolare: all’incirca dodici anni fa.

Forse era destino: c’è qualche congiunzione astrale particolare? Con il pom-popom della risonanza dell’altro ieri che echeggia ancora e che attende il responso nel primo giorno di primavera, Cristella si tira su il morale, con un “elogio alla creatività” che le regalò il maestro Piggì.

Beh, per stasera, direi che la mia soddisfazione l’ho avuta. Più tardi vado col Re Consorte ad uno spettacolo presentato da Andrea Mingardi.

Magari domani ne scrivo la cronaca. Sono o non sono una che “anziché una canzone, tende a comporre una sinfonia”?

Ah, grazie, Laura!

Torre Pedrera, 15 novembre 2000. Intervento di don Piergiorgio Terenzi in occasione della presentazione pubblica del libro Trama e ordito organizzata dal Circolo Ricreativo Culturale “Torre Saracena”. (Piggì è stato il mentore e maestro di giornalismo di Cristella).

Elogio della creatività

Non userò i pochi minuti che ho a disposizione per tessere l’elogio di Cristina. Non perché non sappia farlo. Penso soltanto che altri lo faranno meglio di me.
Non posso neppure azzardare un “Elogio alla follia”. In questo infatti sono stato preceduto dal buon Erasmo da Rotterdam.
Mi limiterò così a tessere l’elogio alla creatività!
La creatività è più presente fra gli umani di quanto noi stessi, in genere, siamo disposti ad ammettere. Tale creatività è una dote, un dono. Se però non viene espressa e sviluppata, da dono che è diventa peso e intralcio.
E’ come un motore che si ingolfa. Anziché andare più forte, si ferma!
Nella mia passata funzione di direttore del settimanale Il Ponte mi ero proposto, parte sul serio, parte come gioco, di fare il talent scout, lo scopritore di doti, se non addirittura talenti.
Quando si è presentata da me la Cristina, pur vedendo che, in fondo, non aveva ancora le idee chiare, ho colto in lei non solo un buon motore, ma anche una riserva enorme di carburante per tenerlo in moto per diverso tempo. Così abbiamo incominciato… Lei a proporre e io, con funzione pseudo-critica, a fare domande e a porre problemi.
Da cosa nasce cosa. Camminando s’apre il cammino… Ed è pian piano venuta fuori la Cristina che tutti noi, oggi, conosciamo.
Una critica che si fa docile. Meglio, serva della creatività.
Tenendola a questo livello, sapevo che il prodotto che ne sarebbe uscito avrebbe avuto, almeno in parte, un tono nomade, quasi zingaresco. Il nomade, come Cristina, non ama meno le persone o le situazioni che vive. Le ama in maniera aperta, diciamo integrata.
Anziché una canzone, tende a comporre una sinfonia.
L’unità stilistica e di contenuto dei vari suoni è il compito e la strada che Cristina ha già incominciato e che la condurrà ancora. Sarebbe una lacuna non piccola se dimenticassimo o sottovalutassimo il ruolo critico-propositivo del marito, ed amico, Paolo.