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Visto, si stampi: “i còmbri” son maturi

ESTERNO GIORNO. VISERBA.

Un caldissimo pomeriggio d’inizio estate. Due giovani collaboratori della nuova Frutteria “Da chi Zuclòn”, seduti all’ombra a uno dei tavolini del giardino, stanno meditando dubbiosi di fronte ad un grande cartello. Pennarello in mano, vedono passare Cristella e non perdono l’occasione.

“Cri – chiama Angelo – ci puoi dare una mano?”

Come rifiutare la richiesta d’aiuto di un bel giovanotto? Ma che vorrà mai?

“Vorremmo scrivere una cosa in dialetto, ma non siamo sicuri”.

“Proviamo. Com’è la frase in italiano?”

“Abbiamo i cocomeri più buoni”.

Beh, la prima risposta è tutta cesenate: “Avém i combàr piò bòn”.

E, invece, Cristella ha dimenticato, per un attimo, che qui siamo a Viserba e la lingua della mamma va sostituita con quella, acquisita, della suocera. ‘Còmbar’ u’n và bén, suona un po’ stonato.

Seduta poco distante, che si gode uno dei freschi e colorati aperitivi della Frutteria, c’è a portata di voce la mamma del Re Consorte, Malvina. Riminese doc, la bionda signora conferma ad Angelo: “us dìs avém i còmbri piò bòn!

Visto, si stampi! Il cartello ora fa la sua bella figura di fronte al locale e richiama i passanti accaldati. Perché, con ‘sti caldi… una bella fetta ad còmbri l’è propri quèl cu’i vò.

Ma, vogliamo approfondire l’argomento, in stile Cristella? Continua a leggere

Invéci da fè la caza e’ déva dri mal pavaiòti…

Povero gatto! Liseo l’ha tenuto tre giorni senza mangiare per fargli sentire la cattiveria della fame e lui, ingrato, corre dietro alle farfalle….

Questa è la filosofia di Tonino Guerra.

(da “L’ort ad Liséo”” Maggioli Editore, 1989)

Zògn

L’à pas e’ màis ad zògn

sla sapa tal mèni e si òcc ch’i guardèva i fasulòin

e i pumidòr ch’i avnéva so mal cani. Continua a leggere

Scanzonata filosofia riminese. “Par piasér: ch’la m ne màza un chél!”

INTERNO GIORNO

Viserba di Rimini. Pomeriggio d’autunno nella sala d’aspetto del medico di famiglia. Stanza in ombra, dal soffitto basso. Aria stantia e pesante. Scomode seggiole addossate ai muri. Scaffaletto con vecchie riviste.

Tutti i posti occupati: tre o quattro signore di mezza età, due anziani con la cartella delle lastre in mano, un ragazzo di colore, un rappresentante del farmaco con la borsa di pelle d’ordinanza.

Cristella entra. Continua a leggere

Una télaragna, un pidriùl ad sàida…

Questa la devo raccontare.

Qualche mese fa insieme ad alcune amiche sono andata a cena al ristorante La Sangiovesa, a Santarcangelo. Oltre a proporre un menu della tradizione romagnola, il luogo, ideato e progettato con l’aiuto del “solito” Tonino Guerra (scrivo così perché ultimamente Tonino è molto presente in questo blog) contiene diversi oggetti di arredamento, libri, opere del poeta. Anche le tovagliette di carta gialla poste sotto al piatto di ogni commensale riproducono le sue poesie. Presa dall’atmosfera romagnola, ho voluto far bella figura con le amiche iniziando a leggere ad alta voce i versi scritti sulla tovaglietta della mia vicina. Tutto bene: non ricordo quale fosse, ma era un testo piuttosto breve.

Poi passo a quella sotto al mio piatto: una poesia che non conoscevo, sebbene sia stata pubblicata nel 1976.

Ebbene, ormai avevo iniziato e non potevo interrompermi… Ma più andavo avanti, più le “ragazze” mi guardavano con aria stupita e i vicini di tavolo ancora di più. Insomma, in un modo o nell’altro sono riuscita ad arrivare alla fine.

Ma sicuramente la mia faccia era diventata rossa, che più rossa non si può!

Eccola. Buona lettura 😉

Cantèda Vintiquàtar

La figa l’è una telaragna Continua a leggere

Anch’io mi guardo nello specchio di Germana, la mia amica poeta

Quello che mi piace, delle mie amiche, è che sono donne vere.

Non quelle patinate, rifatte, lucide e lisciate e che troppo spesso indossano la maschera di un sorriso finto.

Le mie più care amiche sono donne che si incontrano al supermercato e sul bus, che vanno in bicicletta o guidano quasi impaurite nel traffico cittadino, che lavorano dietro allo sportello delle poste o nei reparti degli ospedali, che puliscono le aule o insegnano ai bambini, che per due o tre volte al giorno, per tutti i giorni dell’anno, devono mettere qualcosa in tavola per  la famiglia senza che qualcuno dica grazie, che devono occuparsi/preoccuparsi di figli, nipotini,  genitori, suoceri…

Insomma, le mie amiche sono tutto questo. Ma sono anche poete.
La poesia di Germana Borgini è in dialetto di Santarcangelo. Quello specchio c’è anche in casa mia. Grazie, Germana.

E spèc

(di Germana Borgini)

E spèc l’è sfazèd, l’è una spèa,

ut dói cla verità ch’l’at fa mèl

ad chi dè che t’a n nè vòia

e te, par no dèi sodisfaziòun,

t’pas a chèul rét e t’a n t’zóir a guardèl.

Ma u i è di dè che u n t fa paèura;

tà l’affràunt fàza fàza

e ste bén, t’at’guèrd,

t’cì tè, si tu cavél biènch,

si sàulch dal risédi,

al somigliènzi si tu fiùl,

e quèl ch’ùt pis ad piò

l’è e tu sguèrd,

e tu sguèrd lébar.

Lo specchio / Lo specchio è sfacciato, è una spia / ti dice quella verità che ti fa male / in quei giorni che non ne hai voglia / e tu per non dargli soddisfazione, / passi indispettita e non ti giri a guardarlo. /Ma ci sono dei giorni che non ti fa paura / lo affronti faccia a faccia / e stai bene, ti guardi, / sei tu coi tuoi capelli bianchi, / coi solchi delle risate, / le somiglianze con i tuoi figli / e quello che ti piace di più / è il tuo sguardo, / il tuo sguardo libero.