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“Dacché sono costì…”

Come i collezionisti più appassionati, gli amici dell’associazione Ippocampo (di cui sono socia fondatrice e attiva) sono capaci di passare serate intere a guardare e riguardare vecchie fotografie e cartoline alla ricerca di ogni particolare che possa aiutare a ricostruire la memoria dei luoghi e delle persone.
Nel vastissimo archivio di immagini raccolte fino ad oggi (di cui molte a disposizione di tutti, pubblicate nel sito www.ippocampoviserba.it) ci sono scatti e vedute che basterebbero a creare un’enciclopedia o una lunghissima serie di filmati. Patrimonio non solo visivo, ma anche testuale, se non altro per le storie che certe inquadrature ispirano. Oppure, come spesso succede, proprio per le parole scritte su foto e cartoline, che rimandano a persone con nomi e cognomi, a date ben precise, a luoghi e avvenimenti.
Fra le tante cartoline d’inizio Novecento ce n’è una spedita da Viserba nell’estate del 1909.
“Viserba. Corderia meccanica” è il titolo tipografico che descrive l’immagine in bianco e nero dell’allora famosa fabbrica “Dossi Giuseppe” (come scritto sull’edificio sulla sinistra). Ma la curiosità più intrigante è il lungo messaggio vergato a mano nella parte chiara della foto, che evidentemente voleva essere un “post scriptum” a quanto indicato sull’altro verso.

fronte
Ecco cosa scrive “zia Angioletta”, la mittente del saluto viserbese:
“Gentilissima Signora Carolina, Perdonerà se sono un po in ritardo a rispondere alla graditissima sua cartolina inviatami solo ora dall’Anita. Grazie a Lei e signorina Felicina de’ suoi cari auguri. Dacché sono costì mi sento molto meglio di salute e mangio con più appetito: presto verrà anche Anita che la desidero tanto, ora sono sola con Renzo.”
Sul retro, oltre al timbro postale “VISERBA (FORLI) 18 – 7 – 09”, la stessa grafia d’altri tempi continua con l’indirizzo del destinatario: “Gentil Signora Adelaide Colombo Sartore, Casa Orelli, Rodi Fiesso (Svizzera), Linea del Gottardo”.

retro

Anche il testo del messaggio è creativo: scritto in tutto lo spazio a disposizione, con tre righe aggiunte in alto ma capovolte rispetto al verso della cartolina.
“Carissima, grazie delle tue buone notizie, che speriamo ed auguriamo sempre buone; non diventare però la ‘donna cannone’. Noi tutti bene, qui ci troviamo colla solita amabile compagnia e quindi bene, avevamo un tempo un po’ autunnale, ora però sembra, purtroppo, che metta giudizio regalandoci un caldo che fa desiderare e invidiare il tuo soggiorno. Viserba è diventata una stazione balneare veramente scich e molto frequentata. Tanti saluti a Vito, baci a Carluccia e baci affettuosi a te dalla tua affez. Zia Angioletta.”
Sorridendo un po’ su quel “scich” vergato e poi corretto, che denota qualche dubbio sulla sua esattezza, ecco che, dopo più di un secolo, questo documento ci conferma che Viserba nel giro di pochi anni ha avuto uno sviluppo turistico fuori dal comune (“è diventata una stazione balneare veramente scich e molto frequentata”) e che era apprezzata per le virtù salutari e curative (“Dacché sono costì mi sento molto meglio di salute e mangio con più appetito”).
La nostra cronista d’antan è lei, la Zia Angioletta, che con la sua semplicità e spontaneità percepisce quanto poi documentato sullo sviluppo della Viserba balneare dagli storici più referenziati.

Passeggiate viserbesi. Dalla spiaggia al Lago Riviera percorrendo la Fossa dei Mulini

Torna il sole e la voglia di passeggiate.

La fortuna di abitare a Viserba offre percorsi decisamente interessanti, che sarebbero da proporre anche ai tanti turisti che – peccato per loro! – vedono solo spiaggia, ombrelloni e gelati.

Ecco la mia proposta di itinerario: porticciolo – ex lavatoio – vecchio mulino – ex corderia – lago Riviera.

Si parte dalla spiaggia, all’altezza del porticciolo, appunto. Attraversato il lungomare ci si immette sulla stradina/copertura di quella che fu la Fossa dei Mulini. Passando fra le piccole case che una volta erano abitate da pescatori e marinai, si arriva ai giardinetti sorti nel sito dell’ex lavatoio. Oltrepassata la ferrovia, il panorama cambia, e ci si trova a camminare fra campi e orti fino ai ruderi di un mulino antichissimo. Proseguendo ancora, ecco il muro di cinta dell’ex corderia, che rievoca storie di sudore e mistero… Sulla sua destra, il lago Riviera con gli appassionati di pesca e le loro canne: un luogo adatto anche per un pic nic all’ombra delle grandi piante insieme a tutta la famiglia…

Molte immagini di questi luoghi, così come diversi racconti, sono reperibili nel sito dell’associazione culturale Ippocampo Viserba, di cui mi vanto di essere fra i soci attivi, che da tre anni sta svolgendo un prezioso lavoro di recuperto della memoria del territorio.

Fra gli autori viserbesi che hanno raccontato questo luogo, mi piace citare il professor Enea Bernardi, noto pedagogista ed educatore scomparso nel 1998. Ecco qui di seguito alcune sue pagine.

Dalla Fossa dei Mulini alla Corderia

di Enea Bernardi, 1982

da “Storie su due piedi. Immagini della Memoria” (stampato in proprio, 1995)

 “C’era una volta un canale chiamato, al tempo degli avi, “La Viserba” e poi “Fossa dei Mulini”, dove nuotavano tinche, trote, anguille. Attraversava il paese, in cui era difficile mettere insieme pranzo e cena, e prima di sfociare in mare offriva un riparo alle battane e alle lance dei marinai.

Era il luogo goduto dai pescatori e dai bambini in cerca di emozioni. I ragazzi più grandi, che l’avevano già esplorato, si compiacevano dell’ammirazione di tutti e suscitavano invidia. Il gruppo al quale appartenevo stabilì allora di dare inizio alle nostre spedizioni.

Ed era diventato un rituale estivo. Si attendeva appostati che il marinaio, vinto dalla calura del pomeriggio, si appisolasse all’ombra del capanno, per sottrargli il moscone che teneva nel canale senza remi. Il vecchio, sfingeo nel volto abbrunito, quasi certamente fingeva di dormire, sapeva dei nostri armeggi ma stava al gioco. Forse la nostra intrusione maldestra portava nella sua solitudine un motivo insolito, che lo divertiva.

Partivamo, guardinghi e silenziosi, distesi sopra i galleggianti che portavano inciso il motto “Audaces Fortuna Iuvat”, con l’acqua che ci lambiva il volto mentre oltrepassavamo i ponti bassi delle strade. Si spingeva a fatica con una lunga pertica un’imbarcazione, appesantita dal legno intriso d’acqua, che a noi sembrava una corazzata. Si navigava fieri in mezzo alle lance ormeggiate sotto un tunnel di alberi, in un canale vivo con gli argini fasciati dal legno, e cantavamo a squarciagola.

Lasciavamo la “Torretta di Tognacci”, l’ultima casa dell’abitato, con la sensazione di avere superato le Colonne d’Ercole. Dopo il ponte della ferrovia risalivamo il corso della fossa in una zona deserta, nella quale l’unico fabbricato era il macello a volte risonante di muggiti che mettevano i brividi.

Più avanti la nostra audacia veniva messa a dura prova dai banchi di fango che spesso imprigionavano l’imbarcazione, in mezzo ai canneti che intricavano il passaggio e davano affanno e smarrimento perché chiudevano ogni orizzonte.

Ci inoltravamo fino al mulino dei Leli, allora con le macine ronzanti, oltre il quale sorgeva la vecchia corderia.

Si vedeva appena la punta della ciminiera e la panciuta cisterna dell’acqua ma non la fabbrica che, da quella parte, era cinta da alte mura e da una folta barriera di alberi lungo l’argine del canale fino a monte. Assomigliava ad una fortezza assediata dal verde di una foresta aggressiva in cui regnavano indisturbati bisce e grandi uccelli. Con un abbraccio aggrovigliato l’edera stringeva tronchi secolari di acacie, olmi, pioppi.

Qui, per noi, incominciava l’ignoto insondabile e finiva il viaggio breve che bruciava emozioni ed aspettative segrete. Al ritorno restava il problema di ormeggiare il moscone al suo posto. Il vecchio pescatore ci aspettava lassù in alto sulla banchina della palata, mimava un inseguimento e minacciava in tono semiserio “se vi prendo un’altra volta, vi butto in bocca ai pesci!”. E noi con aria candida rigettavamo la colpa sulla risacca che aveva sciolto l’imbarcazione e che, per non lasciarla alla deriva, eravamo saliti sopra con l’intenzione di attraccarla meglio. A questo punto il marinaio si incattiviva e urlava: “Vi cavo le budella e le metto a seccare sulla rete!”

Un po’ spaventati ci buttavamo in acqua, abbandonando il moscone, e ci mettevamo in salvo sull’altro molo.

Le esplorazioni della Fossa dei Mulini ci fecero sognare per due stagioni approdi in terre sconosciute, naufragi, attacchi di animali e di uomini selvaggi e la nostra onnipotenza paragonabile a quella degli eroi dell’Avventuroso. Alla lunga, tuttavia, con la nostra crescita, questi percorsi finirono per diventare abbastanza prevedibili; escluso il bosco della corderia che a distanza di mezzo secolo resta sempre un’incognita impraticabile a causa degli ordigni esplosivi disseminati dai tedeschi in ritirata. Crebbe con l‘età il bisogno di rinnovare sensazioni ed obiettivi.

La nostra fu l’ultima generazione che risalì il canale, perché con l’arrivo della ricchezza la Fossa dei Mulini diventò una fetida cloaca a cielo aperto con l’unica funzione di scaricare in mare la merda indigena e forestiera. Il boom turistico aveva imbastardito l’etnia e affievolito l’orgoglioso senso di appartenenza al nucleo originario; così decadde la tradizione e l’intelligente buon senso degli anziani insieme al pudore civile.

Il miraggio dell’Eldorado ebbe il sopravvento e trasformò le casette ingentilite da fregi e dimensioni umane in alti contenitori anonimi, e le viuzze luminose in asfittici budelli.

Da un’estate all’altra il canale scomparve, gli misero sopra un coperchio di cemento e divenne un corridoio fra i retro delle case. I bambini di oggi hanno già perso la memoria della Fossa dei Mulini. Passandoci sopra sentiranno soltanto una gran puzza.

 

“Tempo dedicato” per un regalo fatto con le mie mani

Dedicare tempo agli amici significa anche creare qualcosa di originale solo per loro. Certo, andare a comprare un regalino in un negozio o in una bancarella richiede sempre tempo (e spesa).

Ma vuoi mettere, se una mezzora la impieghi sferruzzando, tagliando o incollando un oggetto destinato proprio a lei o a lui, a quella persona che, mentre crei, non riesci a toglierti dalla testa e dal cuore?

“Tempo dedicato” è un po’ più prezioso: vale un abbraccio grande. Continua a leggere

Ecco a voi “Vis a Vis”: il giornale di Viserba e Viserbella.

La Terra delle Acque, i suoi volti, le storie, i luoghi… Ieri oggi e domani.

Vis a Vis” è la nuova rivista, di cui sono “capo redattore” – uauh! – Continua a leggere

La fantastica storia di Talacia e del suo orologio gigante.

Venerdì 20 luglio 2012, alle 21.30 in piazza Pascoli a Viserba, l’attrice/cantante Liana Mussoni, accompagnata dalle musiche di Tiziano Paganelli e con intermezzi di Mario Bianchini, porterà in scena “L’orologio di Talacia”.
Lo spettacolo racconta la curiosa storia di Gennaro Angelini, detto “Talacia” (n. 1874 – m.1956) contadino semianalfabeta e genio inventore. Nell’arco di più di trent’anni costruì una meravigliosa “macchina del tempo”, che suscitò l’interesse anche di giornalisti stranieri e su cui l’Istituto Luce girò un documentario.
L’orologio di Talacia, lungo sei metri e perfettamente funzionante, era costituito da ingranaggi ricavati da pezzi di legno, arcolai, catene di bicicletta, corde. Segnava minuti primi e secondi, quarti, mezzore, ore, giorni, settimane, mesi, stagioni, anni ordinari e bisestili, fasi lunari, costellazioni, lustri, decenni, secoli, millenni.
La fantastica creatura, crescendo un pezzo alla volta, stava appesa alla stalla, convivendo col placido ruminare dei buoi, nella casa colonica a fianco della chiesa di San Martino in Riparotta, il borgo sulla via Emilia da cui ha avuto origine Viserba e da cui dista un paio di chilometri.
Liana Mussoni nel suo spettacolo sa evocare l’atmosfera di quei tempi e la magia della storia di questo geniale inventore naif.

Lo spettacolo è organizzato dall’associazione “Ippocampo Viserba” (Laboratorio Urbano della Memoria), con la collaborazione di Playa Tamarindo, alcuni alberghi della zona, Comitato Turistico, parrocchia di Viserba Mare.  
L’ingresso è libero.

Per il pomeriggio di domenica 22 luglio, dalle 16 alle 19, i soci di Ippocampo organizzano una visita guidata alla chiesa di San Martino in Riparotta, dove il parroco don Danilo, con la collaborazione del Met (Museo degli Usi e dei Costumi della gente di Romagna) di Santarcangelo è riuscito a riportare l’orologio che per diverse ragioni era stato smontato e trasferito in altra sede.

Per le visite “libere”, la sagrestia è aperta ogni domenica mattina.
Per eventuali prenotazioni tel. 0541 740602.

Quidi seguito, un bell’articolo di Marzia Mecozzi (dal sito di Ippocampo Viserba).

L’orologio di Talacia. La ricerca del Tempo nella stalla di Angelini Continua a leggere