Il Somar Lungo è un’antichissima tradizione di Rimini riportata in uso da qualche anno grazie all’organizzazione del coordinamento dei Comitati dei borghi.
Il Somar Lungo rappresenta l’occasione della “gita di Pasquetta fuori porta” dei riminesi.
Si parte con ogni mezzo, purché non motorizzato, in corteo da Borgo Marina (zona Porto), per raggiungere il Santuario della Madonna delle Grazie dopo aver attraversato tutta la città.
Al Santuario delle Grazie, a Covignano, dopo la Messa, saranno offerti spuntini e intrattenimenti vari, con premi per i partecipanti.
La scampagnata del lunedì di Pasqua alle Grazie è una vecchia tradizione riminese che ancora sopravvive, anche se l’espansione della città, i moderni mezzi di trasporto, l’attrazione esercitata da località ben più lontane e la dissoluzione dei rituali familiari l’hanno privata di gran parte del suo fascino. Un’usanza che pare abbia qualche secolo: i riminesi si recavano a Covignano per salutare l’arrivo della bella stagione.
Salire a piedi sul colle di Covignano era considerato una mezza impresa, a cui ci si preparava coscienziosamente. Le donne si levavano all’alba per cucinare il galletto, il coniglio o l’agnello; si riempivano i cesti e le sporte di cibo (d’obbligo le uova sode, la piada sfogliata, la ciambella e il vino bianco); poi le famiglie, di buon’ora e di buon passo, si avviavano verso le Grazie. Là sceglievano un prato, vi stendevano le tovaglie e facevano fuori tutti i viveri. Dopo pranzo, mentre le mamme e le nonne, armate di coltello, raccoglievano le erbe mangerecce, ai bambini era concesso di rincorrersi nei prati. Alle tre del pomeriggio si riprendeva la strada del ritorno.
La popolarità di questa tradizione crebbe rapidamente a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento. In origine il pellegrinaggio al santuario era una devozione marinara. Giuseppe Malatesta Garuffi, nel 1702, accenna per l’appunto alla “grande divozione” di cui godeva l’immagine della Vergine delle Grazie e aggiunge che “non v’è marinaio nel porto di Rimino che a Lei non ricorra qualora si trovi agitato da’ pericoli del mare, portandosi poi a sciogliere il voto a’ piè del di Lei sacro altare”. Nel santuario si conservano tuttora sette dipinti votivi marinari, modesta rappresentanza dei molti che vi saranno stati appesi. Il legame dei marinai e dei pescatori con un santuario di collina sembra strano; la spiegazione è che Covignano è un punto dell’allineamento, chiamato dai naviganti “tre-monti-assieme”, che preannunciava loro il porto, e ve li guidava.
Il corteo delle persone a piedi e dei pochi privilegiati in carrozza che salivano la stretta strada bianca delle Grazie era detto, un tempo, “somar lungo”. La spiegazione di questa espressione si trova nelle cronache manoscritte di Filippo Giangi (primi decenni del 1800) dove si parla del Palio degli Asini che il lunedì e il martedì di Pasqua i marinai correvano intorno alla chiesa di San Nicolò. Davanti alle loro innamorate vestite a festa, in groppa a somari, i marinai si sfidavano, ma poichè non erano abituati a cavalcare questi animali cadevano e facevano ridere chi li osservava. Il Giangi annota anche che i marinai in carrozza o a cavallo di somari giravano sul porto e dopo pranzo alle Grazie.
Agli inizi dell’Ottocento l’antico pellegrinaggio marinaro al santuario delle Grazie si è già trasformato in scampagnata: dei marinai soprattutto, che vi si recano volentieri a dorso d’asino (il “somar lungo”), ma anche del popolo minuto del centro storico. Intorno al 1830 la partecipazione si fa massiccia e l’affluenza attira numerosi ambulanti, che vendono ”maiali nel forno (porchetta), pane, piadoni, pollame cotto e vino”: di mediocre qualità, questo, e spacciato al prezzo esoso di quattro o cinque baiocchi al boccale (quando in città costa, al massimo, due vili baiocchi). Ciononostante – commenta Giangi – “v’è di tutto uno smercio considerevolissimo”. Come ancora succede, a più di un secolo e mezzo di distanza, in tutte le sagre del Riminese.
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Rimini: il mare d’inverno e i soldatini in fila
“…Pensare a Rimini. Rimini: una parola fatta di aste, di soldatini in fila. Non riesco a oggettivare. Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare. Lì la nostalgia si fa più limpida, specie il mare d’inverno, le creste bianche, il gran vento, come l’ho visto la prima volta.”
(Federico Fellini, tratto da La mia Rimini, Cappelli, Bologna, 1967)
Esterno notte.
Sera d‘estate a Rimini. Terrazza del Grand Hotel. La facciata dell’albergo è illuminata a giorno. Musica di sottofondo affidata alla magica voce di una bella ragazza mora seduta al pianoforte. Numerosi ospiti in abito da sera ai grandi tavoli rotondi. Via-vai di camerieri in giacca bianca.
E’ il 13 luglio 2008.
Paolo ed io siamo fra gli invitati al Gran Galà dello Ior, l’Istituto Oncologico Romagnolo, di cui siamo volontari da diversi anni.
Non siamo ospiti di primaria importanza, ma ‘gregari’. Forse per questo il tavolo riservato a noi e ai nostri amici è ai bordi della terrazza, l’ultimo della fila.
Per fortuna, penso ora.
Da quella postazione non ho mancato di ammirare gli ospiti ‘veri’ del Grand Hotel: i clienti residenti che stavano cenando nella sala da pranzo le cui vetrate erano lì, a portata dei miei sguardi curiosi.
Non vi dico l’eleganza di signore e signori! Molti evidentemente erano stranieri. Li osservavo quando, di tanto in tanto, si alzavano per recarsi al bar o per uscire ad ascoltare il “nostro” concerto.
La mia attenzione, a un certo punto, è stata attirata da un bimbetto sui sette anni che aveva in mano un video-gioco (o forse era una pallina verde?). Biondo, capelli lisci e lunghi fino alle spalle, calzava un enorme cappello da marinaio e vestiva alla marinara.
Mi dispiace solo di non aver avuto la prontezza di fotografarlo. Quindi, pur non essendo brava a disegnare, ho provato a fissarlo su carta con penna e pastelli.
Eccolo.
I genitori, giovani e biondi pure loro, magri e belli, potevano essere inglesi o russi. Comunque stranieri.
La visione di questo bambino mi ha colpito perché avevo appena letto, sulle pagine di un quotidiano locale, un articolo di Gianfranco Angelucci, ai tempi stretto collaboratore di Federico Fellini, che racconta la cronaca del 3 agosto 1993, quando il Maestro venne colpito da un ictus mentre si trovava qui, al Grand Hotel.
“Quel giorno – raccontava il regista – fui salvato da un angelo vestito da marinaretto”.
La figura del marinaretto ritorna spesso nella vita, reale e onirica, di Fellini.
“Qualche volta mi capitano sotto gli occhi delle fotografie dove ci sono anch’io, col vestito da marinaretto, ritto in piedi con mio fratello, dietro a mio padre e mia madre seduti su due poltroncine di velluto; lo ricordo perché abbiamo dovuto portarle da casa fino allo studio del fotografo, socialista e sorvegliato dal Questore”.
E in quasi tutti i suoi film il marinaretto appare, anche solo fugacemente.
Un sogno divenuto ossessione, forse. O il contrario…
In quel caldo martedì d’agosto di quindici anni fa, dicevamo, quando l’ictus colpì il regista alloggiato nel “suo” Grand Hotel, si disse che l’allarme venne dato da un piccolo ospite straniero vestito da marinaretto. Il bambino, sentendo i lamenti provenienti dalla stanza 316, aprì la porta, trovò il maestro riverso sul pavimento e corse a chiamare aiuto.
Ma in quei giorni nessun bambino con quelle caratteristiche alloggiava al Grand Hotel.
Realtà o sogno? Solo Federico potrebbe dirlo.
Sempre l’estate scorsa, a Bellaria, ho avuto l’occasione di incontrare Sergio Zavoli, il grande giornalista amico di sempre di Fellini. Gli ho chiesto se avesse mai sentito parlare di questa versione dei fatti. Un sorriso malinconico ha accompagnato la sua risposta.
“No, cara. Non è andata proprio così. Ma stai certa che Angelucci l’ha saputo dal diretto interessato: una delle tante ‘storie vere’ raccontate dal fantasioso Federico.”
Mi sono divertita a scrivere un raccontino su questa strana coincidenza. Eccolo.
Speedy: il “sogno realizzato” di una bimba fortunata
Un titolo, sui giornali riminesi di oggi, ha attirato l’attenzione di Cristella più di altri: “E’ morto Speedy, il delfino più amato”.
All’età di quarant’anni, a causa di un’infezione batteriologica, l’altro ieri è morto il delfino-papà del Delfinario di Rimini, ospite della struttura sin dalla metà degli anni Settanta, da quando era stato trovato al largo di Pescara.
Speedy e i suoi compagni di vasca sono fra i concittadini più famosi di tutti, probabilmente, visto che ogni estate migliaia e migliaia di spettatori di ogni nazionalità affollano gli spettacoli dove questi simpatici animali si divertono e fanno divertire.
C’è una storia personale molto bella, legata a Speedy, che va raccontata. Sembrerebbe una favola… Invece, è tutto vero: documentato dalla stampa (nientepopòdimeno che il diffusissimo settimanale Topolino – sì, quello, l’unico!).
“Un sogno realizzato”: titolava il Topolino n. 2126 del 21 agosto 1996. La ragazzina nel tondo è la stessa che si fa trascinare a tutta velocità, immersa in una scia di spruzzi, da due delfini giocherelloni affiancati dal “vecchio” Speedy. Dora, una bimba di dieci anni che in un caldo pomeriggio di luglio vide realizzarsi il suo sogno di nuotare coi delfini: mamma Cristella si stava trasformando in regina con poteri magici proprio in quel periodo…
Tutto iniziò quando Topolino, a cui Dora era abbonata, lanciò una sorta di concorso fra i suoi giovani lettori: “Scriveteci i vostri sogni, noi li pubblicheremo”.
Nel numero 2119 del 9 luglio 1996 venne pubblicata la sua lettera: “Dora, 10 anni, di Viserba (Rimini) vorrebbe possedere una piscina e adottare un delfino, per giocare all’infinito!”
Sulla piscina, Cristella sta ancora lavorando (non si sa mai, nella vita, magari una vincita al lotto…). Per il delfino, invece, si accese una lampadina.
Al Delfinario c’era un amico di famiglia che, a sua volta, era amico dei titolari… Forse quel sogno non era proprio irrealizzabile. Insomma, la bacchetta magica di Cristella si mise in moto. Prima di tutto, riuscì a contattare una redattrice di Topolino (la gentilissima Elena) e le fece la proposta:. “Se mi autorizzate a dire che è per Topolino, forse riusciremo davvero a far nuotare la bimba coi delfini”
La risposta superò le aspettative di Cristella: “Magnifico, signora! Se lei riesce ad organizzare la cosa, siamo disposti a mandare appositamente un fotografo da Milano!”
Non ci fu bisogno dell’inviato milanese, perché il servizio fotografico venne curato dall’amico Alvaro Angelini, grande professionista viserbese, che per l’occasione dichiarò, commosso: “Nella mia carriera cinquantennale questa giornata è stata fra le più belle ed emozionanti.”
Il 26 luglio 1996, nel messaggio alla redazione di Topolino Cristella scrisse: “Il vostro corriere può ritirare le diapositive dal fotografo Angelini di Viserba. Dora, ieri, è stata bravissima; ha nuotato per dieci minuti nella vasca, ha giocato coi cinque inquilini del Delfinario, si è stesa sulla pancia di Speedy e si è fatta trainare a tutta velocità tenendosi alle pinne. E’ felicissima: si dovrebbe capire anche dalle immagini!”
Ecco, Cristella è così: quanto può valere l’espressione di felicità sul volto della piccola principessa, che ben si vede nella fotografia qui sotto?
Ciao, Dory. Un beso da MA.MA.MA (mamma matta magica). 🙂
I patàca che si ubriacano e passano col rosso
La tabella che riporto qua sotto è presente in molti locali di Rimini. L’ho trovata scritta in un dialetto romagnolo un po’ rimediato e quindi ho provato ad aggiustare qualche parola e qualche accento. Così come la trovate ora suona meglio alle mie orecchie (consapevole che i dialetti cambiano da quartiere a quartiere…).
La dedico alle ragazze che l’altra notte sono state investite in un incrocio al centro di Rimini da un pazzo ubriaco che andava sparato tentando di passare col rosso.
Ragazze astemie, che non avevano bevuto un goccio. Andavano tranquille e il semaforo dalla loro parte era verde. Per fortuna i danni si sono limitati alla macchina (da buttare), una gran paura, qualche graffio e un collare da portare per qualche settimana.
Qualcuno di mia conoscenza, però, oggi andrà in chiesa ad accendere una candela: il posto dietro all’autista, in quel momento vuoto, è quello che ha preso la botta più grossa. Fino a qualche minuto prima era occupato dalla mia principessa, scesa a venti metri da lì.
Concentraziòun ad spérit in t’e’ sang, sensazioun e percezioun, efét colaterél, sintom e concause.
Concentrazione di alcool nel sangue, sensazioni e percezioni, effetti collaterali, sintomi e concause.
0,0 gr/lt
T’è un’arsùra vigliàca: bsògna zarchè un bar vért
Hai una sete tremenda: bisogna cercare un bar aperto
0,2 gr/lt
E pèr ad stè mèi: s’e’ prém gòz t’an t-cì mai sicùr
Ti pare di stare meglio: col primo goccio non sei mai sicuro
0,4 gr/lt
E cménza e’ divertimént:: la zurnèda la s’indrézza
Il divertimento inizia: la giornata si raddrizza
0,5 gr/lt
Benessere: stà ténti, da qué in avènti i t cèva la paténta!
Benessere: stai attento, da qui in avanti ti fregano la patente!
8 gr/lt
Ma tèra l’è tòt sbiavéid: t’at guèrd travérs un fònd ad’bicìr tòt oùnt
A terra è tutto sbiadito: ti stai guardando attraverso un fondo di bicchiere tutto unto
1,5 gr/lt
Pid chéld e òmid: t’a t-cì pisé ma dòs
Piedi caldi e umidi: ti sei pisciato addosso
3,0 gr/lt
La zénta intònd l’a t prodùs un éco strèn: no stà a fè tènt e’ pataca, chèva e’ bicìr da l’urècia!
La gente intorno a te produce un’eco strana: non stare a fare il pataca, togli il bicchiere dall’orecchi!
4,0 gr/lt
La tu fàza l’a t guèrda e la pèr propri una fàza da cùl: t’è mès la tèsta in t’e’ water par zarchè ad vumitè.
La tua faccia ti guarda e sembra proprio una faccia da culo: hai messo la testa nel water per cercare di vomitare
6,0 gr/lt
Tòt i parént i t guèrda mèl e i è ènca inferocìd: t’è sbajè chèsa e t’è spac ènca la céva in t’a sradùra
Tutti i parenti ti guardano male e sono anche inferociti: hai sbagliato casa ed hai pure rotto la chiave nella serratura
8,0 gr/lt
La zénta l’è tòta vistìda ad biènch e la musica l’è sèmpra la stèssa: t’cì in t’la ambulènza, no mòvti che t’réschi e’ còma etilico!
La gente è tutta vestita di bianco e la musica è sempre la stessa: sei nell’ambulanza, non muoverti, che rischi il coma etilico!
Tre donne in Panda. Per non parlar del cane
ESTERNO GIORNO
Rimini. Spiaggia di Rivabella, confinante con quella di Viserba.
Una famigliola chiassosa arriva a bordo di una vecchia Panda grigia guidata dalla nonna “over 70”. Scendono tre donne e un cane.
E’ un pomeriggio dall’aria gelida. Sulle primissime colline attorno a Rimini la notte scorsa è scesa molta neve, ma il sole e il cielo terso invitano ad uscire di casa.
A dire il vero è la principessa Dora, ritornata da Roma per qualche giorno di coccole alla sua mamma, ad insistere: “Dai, Cri, così facciamo fare una corsa a Chicco e una passeggiata alla nonna Malvi!”
Il risultato? Un’oretta free a giocare sulla “spiaggia d’inverno.”. Sciarpe e berretti di lana, scarpe comode, un bastone da addentare, belle foto da scattare. Come sottofondo, sabbia bagnata, alberghi chiusi, nuvole che si buttano giù…
E, soprattutto, nessuno che viene a trascinarci via.
Il mare d’inverno
è solo un film in bianco e nero visto alla TV.
E verso l’interno,
qualche nuvola dal cielo che si butta giù.
Sabbia bagnata,
una lettera che il vento sta portando via,
punti invisibili rincorsi dai cani,
stanche parabole di vecchi gabbiani.
E io che rimango qui solo a cercare un caffè.
Il mare d’inverno
è un concetto che il pensiero non considera.
E’ poco moderno,
è qualcosa che nessuno mai desidera.
Alberghi chiusi,
manifesti già sbiaditi di pubblicità,
Macchine tracciano solchi su strade
dove la pioggia d’estate non cade.
E io che non riesco nemmeno a parlare con me.
Mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via.
Mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia.
Mare mare, non ti posso guardare così perché
questo vento agita anche me,
questo vento agita anche me.
Passerà il freddo
e la spiaggia lentamente si colorerà.
La radio e i giornali
e una musica banale si diffonderà.
Nuove avventure,
discoteche illuminate piene di bugie.
Ma verso sera, uno strano concerto
e un ombrellone che rimane aperto.
Mi tuffo perplesso in momenti vissuti di già.
Mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via.
Mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia.
Mare mare, non ti posso guardare così perché
questo vento agita anche me,
questo vento agita anche me