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Ortografia unica per la Romagna poliglotta

L’invito è rivolto a dialettofoni, dialettofili, amanti del teatro dialettale e curiosi…

La copertina del libro

Venerdì 26 novembre, alle 18, alla Sala del Giudizio del Museo della Città l’associazione “Istituto Friedrich Schurr” presenta un libro che non può mancare nello scaffale romagnolo degli appassionati. Si tratta di “Do int una vòlta”, una commedia di Giovanna Grossi Pulzoni corredata dal saggio di Daniele Vitali e Davide Pioggia dal titolo “Il dialetto di Rimini”.

Il volume è il frutto di un’intensa attività di ricerca effettuata negli anni dai due studiosi di glottologia, che hanno messo a punto un sistema ortografico unico valido per tutti i diversi dialetti romagnoli.

“L’autrice e regista riminese Giovanna Grossi Pulzoni era la parlante ideale per studiare il dialetto di Rimini”, spiegano gli autori. Quindi Davide Pioggia l’ha intervistata diverse volte e Daniele Vitali ha ascoltato le registrazioni per trascriverne il dialetto.

I due hanno registrato anche un gran numero di altri parlanti di Rimini e dintorni (allargandosi a Valmarecchia, Valconca, San Marino e Pesaro), descrivendo in modo completo la fonologia riminese, con cenni di fonetica e una proposta di ortografia, ossia un sistema di scrittura valido  per tutti ma basato sugli studi fatti e, quindi, coerente.

(Per la cronaca: Maria Morolli, zia del Re Consorte, classe 1918, è stata scelta come testimone parlante per Viserba, visto che qui è nata e sempre vissuta. Durante l’intervista, a cui Cristella ha assistito, il professor Pioggia le ha chiesto se era proprio sicura che da queste parti  “topo” si dice “sòrg” e non “sòrs”. Lei, quasi offesa: “Sicura? Dì, a sarò vècia, ma miga invurnìda!“)

I principi di quest’ortografia vengono da un altro lavoro di Daniele Vitali, “L’Ortografia Romagnola”, ovviamente applicati al sistema specifico del riminese.

Poi Davide Pioggia ha trascritto la commedia con quest’ortografia, così che finalmente anche chi non parla riminese la potrà leggere senza problemi.

Pioggia ha aggiunto al libro uno studio sulla geografia cittadina (in modo che i lettori non pratici di Rimini capiscano cosa s’intende dicendo che, ad esempio, la Barafonda parla in modo leggermente diverso dalla zona di via Covignano), e poi ha messo in rete il sito www.dialettiromagnoli.it che contiene tantissimo materiale, partendo dalla traduzione italiana della commedia fino a un buon numero di poesie di autori dialettali, compresi quelli noti anche fuori dalla Romagna come il santarcangiolese Gianni Fucci.

Del sito piacerà molto ai dialettofili la parte vocale, visto che si potrà fare un viaggio da Imola a Riccione ascoltando le voci recitanti degli autori delle varie zone della Romagna.

Un lavoro completo e multimediale, che dà l’idea reale delle diversità delle nostre parlate.

Solo l’indice dei contenuti fa immaginare la ricchezza del sito: per la provincia di Bologna c’è una sezione tutta dedicata al dialetto di Imola, per Ferrara c’è il dialetto di Argenta, per Forlì-Cesena ci sono tre sezioni (Cesena, San Mauro Pascoli, Sarsina), quattro sezioni per la provincia di Ravenna (Faenza, Fusignano, Ravenna, Sant’Agata sul Santerno) e quattro anche per Rimini (Riccione, Rimini, Saludecio, Santarcangelo).

Il libro (costo 10 euro), presente in alcune librerie di Rimini, può essere richiesto anche all’editore Il Ponte Vecchio di Cesena (tel. 0547 609287) o all’Istituto Friedrich Schürr (tel. 0544 562066).

31 ottobre 1993: il marinaretto di Federico Fellini

Una visita alla tomba di Federico Fellini nell’anniversario della sua morte, al Cimitero di Rimini, mi ha ispirato un racconto dove cronaca e fantasia si intrecciano… E se fosse andata proprio così?

La pallina verde del marinaretto

Nel corridoio del terzo piano la moquette rossa attutiva il rumore dei passi dei clienti e del personale.
La penombra dell’ambiente, in quell’afoso pomeriggio d’agosto, suggeriva un’idea di fresco, che però non corrispondeva del tutto alla sensazione reale.
Era l’ora della pennichella. Continua a leggere

Sghétul e gatòzli

Essere o non essere, this is the question.

Si, vabbé, lo so che i problemi del mondo sono ben altri, lo so. Se guardo i notiziari di oggi, poi, inorridisco ascoltando notizie di violenze urbane e familiari…

Ma io ora, in questo preciso momento, qui, medito su un dilemma fondamentale… E non so dire perché mi son fissata su tale “question” . Che sia proprio per non pensare ai mali del mondo?…

Dunque: a Rimini/Viserba, luogo in cui abito da 27 anni, il solletico è detto “e’ sghétul” (usato per lo più al singolare), mentre a Gatteo a Mare/Cesenatico, dove ho vissuto prima, si chiama “al gatòzli” (usato più spesso così, plurale femminile). Eppure ci sono solo una ventina di chilometri di distanza… Boh, chissà?

“T’an me fé gnènca un sghétul” (non mi fai neanche un solletico), si dice all’amico o nemico che ti stuzzica.

Allora? Av salùt!

Basta con l’asfalto: lastrichiamo le strade con le poveracce

Letta su Il Sole 24 Ore di fine agosto, la notizia che negli USA diversi Stati hanno deciso, per risparmiare sulle manutenzioni, di rimuovere l’asfalto dal suolo per tornare alle vecchie piste in terra battuta m’ha fatto pensare all’uso che c’era qui da noi, sulla Riviera Romagnola, di riempire le buche delle strade e delle piazze (di asfaltarle, in pratica) usando le conchiglie vuote delle “poveracce”.

Tornare indietro di qualche decennio? Perché no? Dopo ogni acquazzone (per non dire del ghiaccio dello scorso inverno) le strade viserbesi si trasformano in crateri lunari. La soluzione dei nostri nonni sarebbe pure ecocompatibile, oltre che economica.

Asfalto a chilometro e costo zero. Infatti si dice, delle poveracce: “Puràz chi li ciàpa, puràz chi li vend, puràz chi li compra, puràz chi li magna”  (poveraccio chi le pesca, poveraccio chi le vende, poveraccio chi le compra, poveraccio chi le mangia).

Forse meglio precisare che “si diceva”: basta guardare i prezzi delle poveracce in pescheria o al ristorante…

In ogni caso, ecco una ricetta antica e semplice, che fa gustare appieno il sapore del mare: al puràzi t ‘e stràz, cioè  nello straccio (dal Dizionario Romagnolo Ragionato di Gianni Quondamatteo).

“Si avvolgano e si stringano bene, in uno straccio bianco, delle poveracce fresche, e si immergano ripetutamente in acqua bollente. Tolti da questo bagno – la legatura impedisce che si aprano – questi gustosi molluschi, ancora ripieni della loro acqua, si offriranno in una fragranza profumata di mare.”

Naturalmente (è il caso di dirlo) se le acque in cui le nostre “poveracce nello straccio” sono state pescate non sono inquinate…

La tratta di Viserba: oggi pranzo con pesci a chilometro zero

In questi giorni sulle spiagge riminesi si sta rievocando la tratta, una forma di pesca in disuso da decenni, ma che caratterizzava il nostro litorale. Grazie ad una speciale autorizzazione della Capitaneria di Porto la Pro Loco Ghetto Turco di Rimini, con l’aiuto di alcuni pescatori esponenti storici della marineria viserbese, butteranno la lunga rete in quattro “calate”: due sulla costa nord della città, due nella zona sud (ieri, sabato 4 settembre, erano a Viserba, sulla spiaggia dei bagni 37-38; oggi, domenica 5 settembre, faranno il bis a Viserbella al bagno 40, alle 16.30; venerdì 10 a Miramare, bagni 139-140; sabato 11 a Marebello, bagni 99-100).

“La tratta – scrivono Gianni Quondamatteo e Giuseppe Bellosi nel libro ‘Romagna Civiltà’ (Grafiche Galeati, 1977) – era un’antica forma di pesca che si esercitava nei bassi fondali sabbiosi, lungo le spiagge adriatiche, in primavera, autunno e in parte anche d’estate. Le ore migliori erano quelle dell’alba e della prima mattinata. Il pesce, spesso molto abbondante, variava da stagione a stagione. In primavera si catturavano seppie, cefali, corvine, canaròl (triglie femmine rigonfie d’uova), branzini, ed infine cianchetti, paganelli, pignoletti, gamberi, pesci-ragni, qualche anguilla, rombi e soasi. I mesi estivi vedevano la scomparsa delle seppie, mentre aumentava il pesce turchino, in particolare modo i sardoni. Erano molto apprezzati, e richiesti in pescheria, “i sardun d’la trata”. Le aguglie apparivano in grandi quantità nei mesi autunnali. Per quanto concerne Rimini, i luoghi più pescosi erano nel tratto tra il molo di levante e la zona prospiciente Piazza Tripoli, e in particolare modo “sòta la Palèda”, “t’la bàca dl’Eusa” e “in faza la Cisa nova”. Le ultime tratte più note: quelle di Berto ad Ragnoun (un Conti di Rivabella), Guerino de Dievul (Guerrino Bianchi) della Barafonda, E’ Nir di Viserbella, Bagaròz (Ricci), Albinéin e Gesaroli.”

Per rievocare suoni, luci e colori della tratta, vale la pena andare a rileggersi la poesia del poeta viserbese Elio Pagliarani: “A tratta si tirano“, dal poemetto “La ballata di Rudi”.

Intanto, Cristella, spettatrice in duplice versione (per il Resto del Carlino e per l’associazione L’Ippocampo Viserba) oggi pranzerà con cefali arrosto del mare davanti a casa sua: decisamente freschi, meno che “a chilometro zero”, gentilmente offerti da Bertino Astolfi, Roberto Biagini, Rolando e gli altri pescatori che hanno organizzato l’evento.