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La tratta di Viserba: oggi pranzo con pesci a chilometro zero

In questi giorni sulle spiagge riminesi si sta rievocando la tratta, una forma di pesca in disuso da decenni, ma che caratterizzava il nostro litorale. Grazie ad una speciale autorizzazione della Capitaneria di Porto la Pro Loco Ghetto Turco di Rimini, con l’aiuto di alcuni pescatori esponenti storici della marineria viserbese, butteranno la lunga rete in quattro “calate”: due sulla costa nord della città, due nella zona sud (ieri, sabato 4 settembre, erano a Viserba, sulla spiaggia dei bagni 37-38; oggi, domenica 5 settembre, faranno il bis a Viserbella al bagno 40, alle 16.30; venerdì 10 a Miramare, bagni 139-140; sabato 11 a Marebello, bagni 99-100).

“La tratta – scrivono Gianni Quondamatteo e Giuseppe Bellosi nel libro ‘Romagna Civiltà’ (Grafiche Galeati, 1977) – era un’antica forma di pesca che si esercitava nei bassi fondali sabbiosi, lungo le spiagge adriatiche, in primavera, autunno e in parte anche d’estate. Le ore migliori erano quelle dell’alba e della prima mattinata. Il pesce, spesso molto abbondante, variava da stagione a stagione. In primavera si catturavano seppie, cefali, corvine, canaròl (triglie femmine rigonfie d’uova), branzini, ed infine cianchetti, paganelli, pignoletti, gamberi, pesci-ragni, qualche anguilla, rombi e soasi. I mesi estivi vedevano la scomparsa delle seppie, mentre aumentava il pesce turchino, in particolare modo i sardoni. Erano molto apprezzati, e richiesti in pescheria, “i sardun d’la trata”. Le aguglie apparivano in grandi quantità nei mesi autunnali. Per quanto concerne Rimini, i luoghi più pescosi erano nel tratto tra il molo di levante e la zona prospiciente Piazza Tripoli, e in particolare modo “sòta la Palèda”, “t’la bàca dl’Eusa” e “in faza la Cisa nova”. Le ultime tratte più note: quelle di Berto ad Ragnoun (un Conti di Rivabella), Guerino de Dievul (Guerrino Bianchi) della Barafonda, E’ Nir di Viserbella, Bagaròz (Ricci), Albinéin e Gesaroli.”

Per rievocare suoni, luci e colori della tratta, vale la pena andare a rileggersi la poesia del poeta viserbese Elio Pagliarani: “A tratta si tirano“, dal poemetto “La ballata di Rudi”.

Intanto, Cristella, spettatrice in duplice versione (per il Resto del Carlino e per l’associazione L’Ippocampo Viserba) oggi pranzerà con cefali arrosto del mare davanti a casa sua: decisamente freschi, meno che “a chilometro zero”, gentilmente offerti da Bertino Astolfi, Roberto Biagini, Rolando e gli altri pescatori che hanno organizzato l’evento.

Casalinghitudine per soli uomini: a Rimini c’è!

Probabilmente molti corsisti verranno iscritti “volontariamente” dalle rispettive mamme, compagne, fidanzate e mogli. Quella che inizierà il 18 ottobre è già la terza edizione e Cristella conosce personalmente un paio di partecipanti del passato… diplomati a pieni voti e premiati con matterello e parananza.

Si tratta del corso gratuito, voluto dalla Consigliera Delegata alle Pari Opportunità e alle Politiche di Genere della Provincia di Rimini, dal titolo “Io… scommetto che ci riesco! Laboratorio pratico di cucina ed economia domestica per soli uomini“.

“Il progetto è dedicato a tutti gli uomini che hanno deciso di cimentarsi con le piccole e grandi prove della vita quotidiana”, si legge nel pieghevole illustrativo. Io aggiungerei: “anche a quelli che non l’hanno proprio deciso, ma si trovano obbligati a farlo”.

Mi vengono in mente, in prima battuta, tutti coloro che per vari motivi non hanno più (o ancora) una donna/cameriera/schiava a propria completa disposizione: separati e divorziati, vedovi, single di ritorno, figli maschi che decidono di tagliare l’ingombrante cordone ombelicale. Ma anche, nel segno dei tempi, i cassintegrati e coloro che hanno perso il lavoro: vietato stare a bighellonare, l’imperativo è “darsi da fare anche in casa!”.

Imparare, finalmente, che anche ‘casalingo’ è una qualifica professionale degna di rispetto.

Il corso si svolgerà dal 18 ottobre al 25 novembre, ogni lunedì e giovedì dalle ore 20.00 alle 23.00.

Ecco il programma: Continua a leggere

Viserba, la piazza, la memoria: Cristella e gli ippocampini

Sabato 7 agosto alle 21.30, in piazza Pascoli, il Comitato Turistico e l’associazione “L’Ippocampo Viserba – Laboratorio Urbano della Memoria” proporranno una serata di spettacolo intitolata “Viserba si racconta. Immagini e storia della Viserba di un tempo”. 

Un “C’era una volta” dedicato ai turisti più affezionati, ma anche ai concittadini: quasi un talk show di casa nostra.

Intervallati da momenti musicali, si alterneranno storie, letture di poesie, proiezioni di video e di immagini, rievocazioni di mestieri caratteristici, interviste a personaggi significativi e ricordi di concittadini famosi.

Sul palco della piazza centrale del paese andrà in onda Viserba e la sua gente. Il passato e il presente, fra leggende (come quella delle sabbie mobili del Surcion tratta dagli scritti del professor Enea Bernardi, che sarà letta da tale Cristella), poesia (con la presenza del famoso poeta Elio Pagliarani), arte e tanto altro. Non mancheranno alcuni invitati di prestigio, che saranno una sorpresa sia per i villeggianti che per i residenti.

Prossimamente, su questo schermo, il resoconto della serata, sperando che Cristella e gli altri ippocampini non vadano in panico di fronte alla platea… la piazza di Viserba in agosto (diverse età, provenienze e “sensibilità”)…  è un salto nel buio, un  vero azzardo!

Intanto, per chi fosse curioso:, ecco qui di seguito la storia delle origini de L’Ippocampo Viserba. Materiali e aggiornamenti nel blog e nel sito dell’associazione Continua a leggere

Gli intraducibili: cercando scaramàz arrivo ad scaranèda

Sì, cercando sul Dizionario Romagnolo Ragionato di Quondamatteo la parola scaramàz, sono arrivata ad scaranèda ad un altro termine che come il primo, se proposto in italiano, non rende nemmeno l’idea del significato originario. Per gli amici extraromagnoli urge una spiegazione, che lascio al buon Quondam Gianni.

Eccola…

Scaramàz:  tramestio rumoroso , chiasso, confusione. E’ fèva un scaramàz! (Faceva uno “scaramazzo”!). Sembra, la nostra, una voce onomatopeica. Nel pronunciarla si sente un rumore di vetri infranti, di seggiolate, di stoviglie che si rovesciano.

Scaranèda: colpo di sedia, tempi più seri, meno incruenti. I j a fat al scaranèdi (hanno fatto le seggiolate): tutt’al più c’era qualche testa rotta. Oggi si spara, per una parola, per un sorpasso. Nella locuzione l’è andè via ad scaranèda: si è allontanato in gran fretta, velocemente. Andè zò ad scaranèda (andar giù di scaranata), invece, significava gettarsi in acqua, d’estate, dalla banchina del porto-canale, non di tuffo, ma raccolti con le ginocchia contro il petto e le braccia intorno alle gambe, come seduti su una sedia.

E adesso, av salùt ma tòt!

Il Bar Dancing Sacramora nei ricordi di Malvina Tamburini

“Avevamo messo molti tavolini attorno al bar e avevamo uno dei primi televisori. Quando trasmettevano  ‘Lascia o raddoppia’ la gente di Viserba veniva da noi portandosi le sedie da casa!”

La pista da ballo del Dancing Sacramora


La signora Malvina Tamburini ricorda con un pizzico di nostalgia il periodo in cui gestiva il “Bar Dancing Sacramora”, all’interno del parco creato attorno alla pozza da cui sgorgava la famosa sorgente di acqua cristallina.

“Nel ‘49/50 la sorgente, anche se già famosa e frequentata, era un ‘coppo’ nel terreno che, allora, era di proprietà della famiglia Sarti (commercianti di stoffe in piazza Tre Martiri, dove oggi c’è il negozio Max Mara). In quegli anni i Sarti diedero in affitto questo appezzamento alla mia famiglia, che arrivava da Bellariva, come orto. Poco dopo il terreno venne acquistato da Cottarelli, un ricco medico milanese  che aveva un grande albergo a Riccione. Lui e sua moglie nel 1954 tennero a battesimo il mio primogenito, Paolo. Grande spirito imprenditoriale, il suo! Fu lui, vedendo quanta gente veniva a berla, ad avere l’idea di sfruttare l’acqua della Sacramora per l’imbottigliamento e il successivo commercio. Già a quei tempi pensava anche alla trasformazione di Viserba in stazione termale, ma le sue idee non vennero mai condivise dalle pubbliche amministrazioni a cui lui presentava i suoi progetti e neppure dai proprietari dei terreni che avrebbe voluto acquistare per realizzare il suo sogno. Il primo stabilimento aveva come unica operaia mia sorella Maria, mentre mio padre, già affittuario come ortolano, divenne il custode-factotum. C’era anche la Giuseppina Sarti, appena diciottenne, che faceva la contabile.”

La giovane Malvina Tamburini beve alla 'sua' Fonte

L’industria dell’imbottigliamento ebbe successo, tanto che pochi anni dopo, durante l’estate, vi lavoravano anche quindici persone.

“Cottarelli sostenne e incentivò la costruzione di un bar con annessa pista da ballo, che mi concesse poi in gestione – continua Malvina – A dire il vero lavorammo di badile io, mia sorella e una cameriera che avevo assunto, proveniente dalle campagne ravennati. Da sole abbiamo riempito con la terra i due fossi che c’erano (ci si pescavano le sanguisughe, che vendevamo alle farmacie). Poi abbiamo costruito un chiosco, la pista da ballo, la fontana rotonda sotto i salici piangenti. Un posto molto bello!”

Erano gli anni in cui spopolavano le orchestre, si ballava tutte le sere, la gente veniva appositamente a Viserba anche da lontano.

Il custode Augusto Tamburini inizia la costruzione del muretto della Fonte

“Avevamo due o tre camerieri. Non erano stipendiati, ma si tenevano le mance. Con questo sistema guadagnavano molto bene! Un’estate venne persino Adriano Celentano a cantare alla Sacramora! Il bar lo aprivamo molto presto, al mattino, perché c’era molta gente che veniva da Rimini per bere l’acqua. Ricordo i festeggiamenti del Millenario, nel 1957, con tantissime personalità. Venne inaugurato il bassorilievo e il dottor Cottarelli firmò pubblicamente, applaudito da tutti, un documento in cui si impegnava a permettere ai cittadini riminesi di attingere l’acqua della Sacramora nonostante lui avesse avuto la concessione di sfruttamento minerario per l’imbottigliamento. Poco dopo Cottarelli vendette ai Savioli, che trasferirono lo stabilimento più su, verso monte. Il bar l’ho gestito fino al 1958. Dopo di me l’ha avuto un altro gestore per una stagione. Poi basta. Un’avventura conclusa. Ci sono diverse cartoline che testimoniano quel periodo: le avevamo fatte stampare io e mio marito Guido. La didascalia recita: ‘Viserba, Fonte Romana Sacramora’. Sì, direi proprio che non salvaguardando e valorizzando questo luogo come meritava e come Cottarelli, nella sua lungimiranza, aveva sperato, Viserba ha perso una grande occasione!”

Intervista inviata anche all‘Associazione Ippocampo