Non so se succede anche in altre zone…
In Romagna è molto frequente l’uso del soprannome, e’ soranòm, che, come scrive Gianni Quondamatteo, “colpiva sia il singolo individuo, sia il nucleo familiare. Accompagnava il primo dall’infanzia fino alla morte, accompagnava il secondo di generazione in generazione. Impietoso o meno, ridicolo o no, il soprannome personale aveva cento motivazioni cui aggrapparsi, mille giustificazioni da addurre: muoveva da un tratto caratteristico del fisico, a un portamento, difetto, inclinazione, fino alle pieghe del carattere, del cuore, del sentimento. La fantasia, la creatività, l’inventiva nel campo dei nomignoli meriterebbe ben altra attenzione. Restiamo in superficie: il nomignolo colora, accarezza, fotografa colui cui è stato affibbiato: l’ironia è molto spesso presente, la politica non manca, così come, a torto o a ragione, la guerra e i grandi avvenimenti. Il nomignolo del gruppo familiare nasceva spesso, invece, da una distorsione del vero cognome, da una vecchia professione o attività, dal luogo di origine. Il fatto è che nel passato nove persone su dieci, e anche più, conoscevano Bruglìn e non Giovanni Fabbri, Saraghìna e non Giuseppe Rossi. E spesso era il manifesto funebre che ci rivelava, è proprio il caso di dire ‘in extremis’, il vero nome dell’amico defunto.”
Alcuni soprannomi di Gatteo a Mare-Villamarina: Basécca, Spudaprària, Fàbar, Ciavòun, Scarplinèt, Manòz, Muntanèr, Rudaréin, Blèt, Manècia, Sartòun, Zàqual, Marnéin, Stòppa, Balèlla, Ginéin, Gianéin, Bunàza, Calzulèr, Plàza, Passaréini, Bachi, …
Alcuni soprannomi di Viserba: Pilincìn (i “miei” Morolli”), Fis-ciòun, Zuclòun, Albinéin, Féc, Balélla, Lisandre, Fafìn, Bilèt, Spranghìn, Furmìga, Ligiera, Bagécca, Zanchéglia, Passeròt, Malètt, Ciòca…
Ah, un’ultima annotazione: io sono una Panarèta, cioè la fiòla ad Panarèt (mentre i Cenni, famiglia di mamma Pierina, erano conosciuti come i Giavaréin).
E, sapete cosa riporta il solito Quondamatteo alla voce “panarèt” del suo Dizionario Romagnolo Ragionato?
“Panarèt: panierino, cestello, canestro. Sempre di produzione locale, di vinco, o altra fibra vegetale. Le contadine se ne servivano per portare al mercato uova e formaggio. L’ha un bèl panarèt: il sederino ben disegnato di una giovane.”
Ogni riferimento al mio “lato B” è… ovviamente… puramente casuale.
Av salùt!