Letta su Il Sole 24 Ore di fine agosto, la notizia che negli USA diversi Stati hanno deciso, per risparmiare sulle manutenzioni, di rimuovere l’asfalto dal suolo per tornare alle vecchie piste in terra battuta m’ha fatto pensare all’uso che c’era qui da noi, sulla Riviera Romagnola, di riempire le buche delle strade e delle piazze (di asfaltarle, in pratica) usando le conchiglie vuote delle “poveracce”.
Tornare indietro di qualche decennio? Perché no? Dopo ogni acquazzone (per non dire del ghiaccio dello scorso inverno) le strade viserbesi si trasformano in crateri lunari. La soluzione dei nostri nonni sarebbe pure ecocompatibile, oltre che economica.
Asfalto a chilometro e costo zero. Infatti si dice, delle poveracce: “Puràz chi li ciàpa, puràz chi li vend, puràz chi li compra, puràz chi li magna” (poveraccio chi le pesca, poveraccio chi le vende, poveraccio chi le compra, poveraccio chi le mangia).
Forse meglio precisare che “si diceva”: basta guardare i prezzi delle poveracce in pescheria o al ristorante…
In ogni caso, ecco una ricetta antica e semplice, che fa gustare appieno il sapore del mare: al puràzi t ‘e stràz, cioè nello straccio (dal Dizionario Romagnolo Ragionato di Gianni Quondamatteo).
“Si avvolgano e si stringano bene, in uno straccio bianco, delle poveracce fresche, e si immergano ripetutamente in acqua bollente. Tolti da questo bagno – la legatura impedisce che si aprano – questi gustosi molluschi, ancora ripieni della loro acqua, si offriranno in una fragranza profumata di mare.”
Naturalmente (è il caso di dirlo) se le acque in cui le nostre “poveracce nello straccio” sono state pescate non sono inquinate…